Lo ‘scomodo’ vincolo dei Beni culturali che ha rallentato la bonifica della Montedison


Pubblicato il 28/04/2014                          
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Una veduta del reparto per la produzione di acido solforico

Una veduta del reparto per la produzione di acido solforico

FALCONARA MARITTIMA – Sono passati quasi cento anni da quando, nel 1919, è stata ultimata la costruzione dell’enorme stabilimento Montedison  (che al tempo era ancora Società Marchigiana) di Falconara Marittima. Tre padiglioni, ognuno adibito a un compito precisoreparto per la produzione di acido solforico, magazzino per la fosforite, deposito. Il 25 marzo 2004, a distanza di 83 anni, la soprintendenza per i Beni architettonici e culturali delle Marche ha deciso di istituire un vincolo (secondo il Decreto Legislativo 29/19/1999 art. 2 comma1, lettera asu tutta la struttura, perché esempio di archeologia industriale più unico che raro.

Qui iniziano a nascere dei problemi sulla Montedison e sul futuro della bonifica visto che dal momento in cui viene messo un vincolo su una struttura la legge ‘costringe’ i proprietari a mantenerla in condizioni ottimali e il più possibile vicino alla sua natura originaria, cosa non facile se di mezzo c’è una bonifica così imponente.   

La questione del vincolo è stata molto dibattuta negli anni e le posizioni della Soprintendenza e dei proprietari sono diametralmente opposte: da una parte, chi ha interesse a far sì che un bene di importanza nazionale unico nel suo genere sia conservato, dall’altra i proprietari di un sito che deve essere bonificato da anni e non hanno voglia di veder lievitare le spese (un conto è buttare giù tutto e ricostruire, un conto è dover ripulire strutture enormi e totalmente contaminate).

Per sei anni la questione del vincolo è rimasta in secondo piano ma, nel 2010, l’Immobiliare Del Poggio ha deciso di presentare ricorso per farlo annullare spiegando perché, a distanza di anni,  quel vincolo non può più essere considerato valido:

- “…C’è stato un crescendo pauroso negli ultimi 2 o 3 anni di episodi di gravissimo vandalismo ad opera di extracomunitari…[..] che, oltre ad occupare stabilmente gli immobili facente parte del complesso, hanno asportato vari metalli presenti nel sito come ferro, fili, tubature di rame. Dobbiamo quindi rilevare che, ahinoi, il vincolo è rimasto puramente cartaceo”

- “La caratterizzazione del sito ha evidenziato una estesa superficie di terreno contaminata da metalli pesanti e la presenza di consistenti volumi di ceneri di pirite negli strati superficiali, quindi ogni intervento di bonifica su dei sedimi degli edifici in particolare quelli della zona nord (Solforico e Magazzino fosfati e simili) comportano la rimozione di consistenti volumi di terreno sottostanti previa demolizione di fabbricati sovrastanti compreso Le Arche”

I proprietari sostengono che il vincolo sia da annullare perché il sito e le strutture sono troppo inquinati, quindi o si mantiene il vincolo o si procede alla bonifica: le due cose sono incompatibili. Ma nel nuovo progetto, quello presentato dalla Genera consulting, c’è scritto che tutte le strutture saranno ripulite e sarà ricostruita per intero anche la parte crollata la scorsa primavera chiamata Le Arche, la più importante da un punto di vista architettonico. E la proprietà attuale è d’accordo visto che la bonifica, ‘salvo accordi futuri’ spetta comunque a loro come hanno specificato  in una mail in risposta alle nostre domande:

Il progetto di recupero urbanistico del sito Ex Montedison deve ovviamente essere preceduto dalla bonifica, cosa di cui si sta occupando e si occuperà fino alla completa realizzazione l’attuale proprietà. La cessione dell’area avverrà una volta bonificata l’intera area salvo diversi accordi futuri che non sono oggi oggetto di valutazione

Per quattro anni la bonifica è stata rimandata perché non si poteva intervenire per ‘colpa’ del vincolo, ora resta da capire come il problema sia scomparso e le strutture si possano recuperare. 

I proprietari sostengono di aver fatto il possibile per evitare che la fabbrica diventasse rifugio di senzatetto e si creasse quell’enorme disagio sociale che ha portato anche al degrado delle strutture. Ma in quello stabile può entrare chiunque e non è neanche esposto il cartello “proprietà privata”. Non ci sono misure di sicurezza reali per impedire l’accesso, a parte un po’ di filo spinato sopra i muretti. Ma nessuno ha bisogno di scavalcare il muro dal momento che c’è un ingresso aperto a tutti poco distante dal cancello principale. Inoltre, le finestre che dicono di aver murato, sono solo quelle dell’edificio più visibile dalla strada, per il resto è tutto ad accesso libero.

Alla richiesta dell’Immobiliare Del Poggio di rimozione del vincolo con le suddette motivazioni, la Soprintendenza ha risposto secondo l’istituto del silenzio-rifiuto, ossia, nessuna risposta che equivale a un ‘no’, il vincolo deve restare. La Del Poggio ha deciso di fare ricorso al Tar che si è espresso pochi mesi dopo dicendo che la Soprintendenza aveva il dovere di replicare al ricorso spiegando le proprie ragioni.

Per effettuare una stima completa ed eventualmente valutare la rimozione del vincolo, i funzionari del Ministero il 25 ottobre del 2011 hanno inviato una richiesta per avere i dati aggiornati sull’inquinamento delle strutture. Richiesta alla quale la ditta proprietaria non ha risposto e alla quale, solo dopo varie sollecitazioni, ha ribattuto così: “La vostra spettabile amministrazione nell’ambito del procedimento al Tar non ha ritenuto partecipare né tantomeno acquisire i documenti che ora pretende di avere. Queste pretese dovevano essere avanzate prima e non ora”. E così passa ancora un po’ di tempo, ma non senza conseguenze.

Intanto, nel marzo del 2013 è crollata una parte del complesso chiamata Le Arche, la più importante da un punto di vista architettonico perché costruita totalmente in legno. Il 22 ottobre dello stesso anno è arrivata la relazione della Soprintendenza in risposta alla richiesta di rimozione del vincolo, come imposto dal Tar: “Le ragioni poste alla base della richiesta di rimozione del vincolo riguardanti atti di vandalismo non possono avere alcun peso nelle valutazioni storico culturali […] Come pure i livelli di inquinamento non possono determinare la valenza storico culturale del complesso. Tra l’altro, lo scrivente Ufficio, non ha ricevuto nessun documento che attesti i livelli di tale inquinamento”.

Il 22 ottobre 2013, a due anni di distanza dalla richiesta dei dati sulla contaminazione delle strutture, dei suoli e delle falde della Montedison, nessuno della proprietà si è mosso per fornire i dati.  In ogni caso, secondo i Beni Culturali, il vincolo non può essere tolto e il crollo delle Arche è stato un danno inaccettabile. Per questo è stato avviato circa un mese fa un procedimento legale con una richiesta di risarcimento di quasi tre milioni di euro (secondo l’articolo 160 del codice unico dei beni culturali). Altra tegola, oltre alla bonifica, che i proprietari dovranno risolvere prima di ‘vendere’.

Sono passati ormai 10 anni dall’imposizione di quel vincolo fatto per mantenere la struttura nelle migliori condizioni possibili e conservarne l’unicità. In realtà, più passa il tempo più lo stabile diventa fatiscente e perde la sua memoria storica che riporta direttamente ai primi anni del 1900. E gli unici colpevoli di questo disfacimento, secondo i proprietari, sarebbero coloro che cercano rifugio dal freddo e dalla pioggia vivendo in condizioni disumane.

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