Sacchi, ferro e ghisa: riemergono i segreti del ‘terreno a riposo’


Pubblicato il 8/04/2014                          


“Sono disgustato dalla vicenda, il giornalista ha montato un caso per fare uno scoop. Sono passati 17 anni e io non voglio più parlarne. Ora è un terreno a riposo, ma in passato i lavori sono stati fatti tutti alla luce del sole. Erano regolari, ci sono gli atti al comune di Venafro che lo dimostrano. Sono stato truffato anch’io e mi fa male parlarne perché ho dovuto anche sostenere delle spese”. Poche parole pronunciate di fretta al telefono, perché ora Ernesto Nola con i giornalisti non vuole più avere niente a che fare.

La storia della masseria Lucenteforte copre un arco temporale di 17 anni – dal 1990 al 2007 – senza calcolare il periodo di silenzio che l’ha nascosta fino ad oggi. Fino a quando un giornalista molisano, Paolo De Chiara, ha deciso di riaccendere i riflettori sul terreno a riposo di Ernesto Nola per affrontare la complessa questione del traffico di rifiuti tossici in Molise. Nel suo libro-inchiesta Il veleno del Molise, De Chiara ripercorre le tappe della vicenda, riporta nomi e testimonianze, con l’obiettivo di dimostrare che la presenza della camorra nella regione non è una novità, conosciuta grazie alla desecretazione dei verbali di Schiavone, ma un problema vecchio di almeno 30 anni, dove l’omertà e la superficialità hanno dettato le regole.

Così la vicenda della masseria Lucenteforte diventa il pretesto per descrivere i meccanismi di un sistema dove molti vedono, ma nessuno parla, dove le autorità – quando agiscono – si incagliano nella lunghezza dei tempi della giustizia, dove le azioni di contrasto hanno il sapore dell’apparenza che serve a calmare l’opinione pubblica. Un sistema di intrecci tra personaggi poco affidabili (come Antonio Moscardino, due condanne per traffico e smaltimento illecito di rifiuti speciali), imprenditori d’assalto legati a doppio filo con la camorra (come i fratelli Ragosta) e grandi industrie, oggi mostri in decadimento (come la vecchia acciaieria Fonderghisa). Questioni irrisolte che riemergono con forza a distanza di anni, come il ferro, la ghisa, le buste di plastica e i teloni spuntano dalla terra nera e inaridita della masseria Lucenteforte.

La storia del terreno a riposo. I Nola hanno alle spalle una famiglia di proprietari terrieri. I loro appezzamenti si trovano a pochi chilometri da Venafro, tra la strada di Bonifica e la Statale Venafrana 85, non molto lontano dal fiume Volturno e dal confine con la Campania. In località Torciniello c’è il terreno di Vittorio Nola, presidente del Consorzio di Bonifica della Piana di Venafro, mentre quello del cugino Ernesto Nola è al di là della strada, a pochi metri dall’oasi del Wwf Le Mortine. I cugini Nola per lavoro non vivono stabilmente a Venafro e i terreni sono affidati alla cura dei mezzadri. Ma mentre la campagna di Vittorio è lavorata da anni dalla stessa famiglia di contadini, sulla masseria Lucenteforte di Ernesto si sono alternate tre ditte diverse, trasformando il terreno prima in una cava abusiva e poi in una discarica a cielo aperto.

Masseria Lucenteforte

Masseria Lucenteforte
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Tutto ha inizio 23 anni fa. Nel 1990, Alessandro Medici, proprietario della ditta Bimed, contatta Ernesto Nola proponendogli dei lavori di miglioramento del terreno. Una sorta di scambio che consisteva nel prelievo delle pietre di fiume in cambio di terreno coltivabile. Su una superficie di 50 mila metri quadrati, la ditta Bimed avrebbe dovuto occuparsi solo di una minima parte: “Feci un contratto per tre/quattro mila metri. – spiega Ernesto Nola al giornalista Paolo De Chiara – L’ho dovuto citare, sono andato dai carabinieri per fermarlo. Questo qua, sapendo che io non c’ero, fece delle buche. Sforò, si allargò. Quasi per un ettaro di terra”.

Ernesto Nola che – a quanto dice – aveva ceduto parte del terreno a titolo gratuito, si sente truffato da “pseudo imprenditori d’assalto”. Il 5 novembre del 1990 – spiega De Chiara – il comune di Venafro gli impone con un’ordinanza di sospendere i lavori di miglioramento del terreno, provvedimento che però verrà revocato pochi giorni dopo con un’altra ordinanza comunale che autorizzerà la ripresa dei lavori a condizione che venisse rispettato il livello di scavo. A questo punto il proprietario decide di rivolgersi ad un’altra ditta per ricoprire quelle buche, di oltre quattro metri, che avevano reso il terreno una cava abusiva. Il 2 febbraio 1995, Ernesto Nola affida l’incarico per il ripristino del terreno ad Antonio Moscardino. Classe 1942 è originario di Ciorlano (Caserta), ma risiede a Sesto Campano (Isernia), dove gestisce la Rasmiper, ditta di smaltimento e recupero dei rifiuti.

Nola fa firmare ad Antonio Moscardino una scrittura privata, impegnandolo “ad eseguire i lavori rispettando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di recupero ambientale”. Nello stesso periodo, – spiega Paolo De Chiara – Moscardino, con la Rasmiper, lavora anche per la storica acciaieria Fonderghisa, che dista solo pochi chilometri dalla masseria Lucenteforte. Il sospetto, accertato dalle perizie successive, è che Moscardino utilizzi il terreno di Ernesto Nola per smaltire i rifiuti speciali prodotti dall’acciaieria. Una discarica abusiva dove interrare ferro, ghisa e fanghi di lavorazione. Un legame a doppio filo, quello tra il terreno a riposo di Nola e la Fonderghisa, dove si allunga l’ombra della camorra.

La Fonderghisa e i fratelli Ragosta. L’acciaieria, nata negli anni ’70, tra le prime del polo industriale Pozzilli-Venafro, vivrà anni di ricchezza sotto la gestione virtuosa della Gepi (Società per le Gestioni e partecipazioni industriali), che rileva la Foderghisa nel 1992, portandola in sei anni a diventare il principale polo europeo per la produzione della ghisa. Con oltre 450 operai e importanti partner nazionali e internazionali, il 10 novembre 1998, l’acciaieria verrà ceduta dall’ex Gepi (ormai Italvia) al Gruppo Poletto. Da questo momento si aprirà una crisi gestionale senza via d’uscita. L’industriale veneto in meno di tre anni crea, nei bilanci della Fonderghisa, un buco di 50 miliardi di vecchie lire, portandola nel 2001 sull’orlo del fallimento. Ma nel 2002 entrano in scena i fratelli Ragosta.

Francesco e Giovanni Ragosta, insieme a Fedele, sono i figli di Giuseppe Ragosta che, il 15 gennaio 1993 a Pomigliano d’Arco, viene assassinato all’età di 52 anni. Probabilmente per un regolamento di conti. “Giovanni e Francesco Ragosta, – spiega De Chiara – secondo un’informativa dei carabinieri, sono dei soggetti molto vicini al clan camorristico Fabbrocino, con sede legale a San Giuseppe Vesuviano e Palma Campania”. Nel 2002 Francesco e Giovanni, già molto attivi nel settore meccanico, alberghiero e immobiliare, dirottano gli interessi della holding in Molise, comprando rispettivamente la Rer e la Fonderghisa Spa. Evidentemente però l’obiettivo non era rilanciare il piano industriale delle due acciaierie.

In poco tempo partono i licenziamenti immotivati, lo svuotamento e lo smantellamento progressivo delle fabbriche. La Fonderghisa Spa verrà dichiarata fallita dal Tribunale di Isernia nel novembre 2005, mentre la Rer chiuderà definitivamente il 16 novembre 2011. Un anno dopo, il 19 marzo 2012, i tre fratelli Ragosta, Francesco, Giovanni e Fedele, vengono arrestati dalla Guardia di Finanza di Napoli. L’operazione ‘Bad Iron’ porterà misure restrittive per 47 persone, tra cui 16 giudici tributari, con accuse a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio di denaro e bancarotta fraudolenta.

Il terreno a riposo e la bonifica superficiale. Parallelamente alle vicende della Fonderghisa, prosegue la storia della masseria Lucenteforte di Ernesto Nola e l’elemento di collegamento è sempre lui, Antonio Moscardino. I vicini alzano il livello di attenzione, perché il via vai di camion che scaricano a tutte le ore del giorno e della notte non può essere ignorato. Inizia il lungo carteggio di denuncie e analisi ricostruito da De Chiara nel suo libro.

Il 30 aprile 1997, il Presidio di igiene e prevenzione di Isernia in riferimento al terreno di Nola dichiara che i crateri, creati dalla ditta Bimed di Alessandro Medici, sono stati riempiti con “materiale polverulento di colore costituito da terre e sabbie di fonderia, insieme a residui di vario genere: fusti metallici, resti di bancali in legno, materiale ferroso, pneumatici usurati, canalette di irrigazione in cemento fratturate, teli di plastica e frammenti di lamiera ondulata di fibrocemento”.

Il 12 gennaio 2000 la Guardia di Finanza di Isernia dispone il sequestro del “terreno a riposo”; dopo una serie di appostamenti verifica la presenza dei camion e lo sversamento di fanghi di fonderia. A questa accusa Moscardino risponde: “Il materiale classificabile non idoneo per il ripristino ambientale non è di mia proprietà, suppongo sia stato abbandonato da contadini della zona”.

Un mese dopo interviene anche l’Ausl (Azienda unità sanitaria locale) di Isernia che comunica alla Regione, alla Provincia e al Sindaco di Venafro gli esiti di due accertamenti fatti sul terreno di Ernesto Nola il 13 e il 29 gennaio. In sintesi, l’azienda sanitaria denuncia la violazione dei sigilli e della recinzione di due metri installati per impedire l’accesso all’area sequestrata ed evidenzia la presenza di “cumuli di terreno di riporto e sabbie di fonderia non presenti all’atto del sequestro”. Nelle conclusioni l’Ausl, accertando la pericolosità dell’attività di raccolta dei rifiuti svolta da Moscardino e l’evidente degrado ambientale e paesaggistico del sito, dichiara illegale la presenza di terre e sabbie di fonderia e di ogni altro genere di rifiuto.

Dopo le denuncie e il sequestro del terreno, Ernesto Nola è costretto a nominare una terza ditta che si occuperà della bonifica dell’area: sarà la Edilcom di Di Nardo. “Ho dovuto nominare un esperto – spiega Nola a De Chiara – un geologo di Isernia che ha dovuto redigere un progetto. Ho fatto tutto in regola, ho dovuto sottostare a tutte le prescrizioni che mi hanno fatto, le ho realizzate e ho dovuto pagare le analisi”. Il geologo a cui Ernesto Nola affida il progetto di bonifica è Vito La Banca, lo stesso a cui anni prima Moscardino aveva richiesto un piano di caratterizzazione proprio per quel terreno. Nel progetto viene predisposto l’utilizzo di mezzi per scavare in profondità. Nell’agosto 2007 il geologo comunica la fine dei lavori e il ripristino ambientale. Il tutto verrà poi ratificato nella Conferenza dei servizi tenuta, il 20 dicembre 2007, al comune di Venafro presente anche l’Arpa Molise, assenti invece Regione e Provincia.

Ma si può davvero mettere la parola fine a questa vicenda? Ernesto Nola oggi è amareggiato, sconfortato. Non capisce perché dopo tanti anni si continui a parlare del suo terreno. Per lui la storia è chiusa. La bonifica è stata fatta alla luce del sole, sotto il controllo delle autorità. Si sente colpito due volte, prima per essere stato truffato da “pseudo imprenditori d’assalto” e adesso perché tutto viene rimesso in discussione. Certo i teloni che fuoriescono dalla terra nera, che circondano quelle poche piante di ulivo, fanno pensare che lì sotto qualcosa ci sia ancora. Un sospetto che non viene smentito nemmeno dal geologo che curò il progetto di bonifica e che oggi, a distanza di sette anni, dichiara: “Più che una bonifica è stata fatta una pulitura superficiale. Le buche, all’epoca, potevano essere riempite con roba d’altoforno perché lo prevedeva la legge. Ricordo che venne contestata la presenza di fusti vuoti. Poi su questa storia è calato il silenzio”.

Se la masseria Lucenteforte, a distanza di 20 anni, è ancora avvolta da dubbi e incertezze, perché le indagini delle autorità sui siti potenzialmente inquinati e gli scavi partiti l’8 gennaio scorso non hanno coinvolto da subito il terreno a riposo di Ernesto Nola?

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