A Crotone ci sono bambini che temono di essere malati perché le scuole che hanno frequentato sono costruite su siti inquinati.

A Crotone ci sono genitori preoccupati che chiedono un controllo per questi bambini, i loro figli, che hanno calpestato, giorno dopo giorno, piazzali di scuole posti sotto sequestro a causa del presunto inquinamento.

A Crotone ci sono scorie provenienti dalla produzione dello zinco che – dopo essere state accumulate per anni nelle ‘black mountains’, le montagne nere presenti per anni di fianco alla Pertusola Sud - sono state usate per costruire questi e altri piazzali.

A Crotone ci sono famiglie dimezzate dai tumori.

A Crotone ci sono persone che hanno lavorato per una vita in fabbrica e che ora non hanno più un lavoro perché l’industria locale non esiste più.

A Crotone, però, c’è anche chi non accetta quello che è successo negli ultimi anni e chiede che un caso giudiziario chiuso – sono stati prosciolti 45 indagati per disastro ambientale e smaltimento illecito di rifiuti – venga riaperto. E a chiederlo sono un perito della procura che ha certificato l’inquinamento dei siti posti sotto sequestro dal pubblico ministero e uno degli indagati prosciolti, l’ex presidente della provincia, Sergio Iritale.

A Crotone, infine, c’è chi è convinto che l’inquinamento esiste e che i siti sequestrati rappresentano un pericolo: per questo anche il Comune ha chiesto una perizia tecnica per valutare se è necessario o meno bonificare i 18 piazzali sequestrati perché costruiti con le scorie Cubilot, rifiuti risultanti dalla produzione delle ferriti che avveniva nell’ex Pertusola Sud, il più grande impianto di zinco del Sud Italia, dismesso da anni.


La mappa dei siti sotto sequestro

I genitori e lo screening. Nell’ottobre del 2008 il piazzale davanti la scuola elementare San Francesco, plesso distaccato dell’Alcmeone (la scuola intitolata al medico e filosofo dell’antica Magna Grecia, nato a Crotone), viene posto sotto sequestro. “Un vero e proprio blitz”, lo definiscono i genitori dei piccoli studenti di allora. Pochi giorni dopo scuola chiusa e studenti dirottati in altre sedi dell’istituto.

A poche settimane dal sequestro del sito inizia lo screening di Sebastiano Andò, docente dell’Università della Calabria. Viene nominato per una perizia dalla procura di Crotone e così parte la sua attività di monitoraggio sui bambini che frequentano la scuola San Francesco. Confrontando i loro valori con quelli di studenti di altre scuole di Crotone si scopre che la presenza di metalli pesanti (arsenico, cadmio, nichel, piombo e zinco) è molto più alta nei bambini che frequentavano la scuola con lo spiazzo costruito con il Cic (Conglomerato idraulico catalizzato), una sostanza derivante dalla miscela della scoria Cubilot (rifiuto della produzione dei ferriti di zinco) e della loppa d’Altoforno.

Lo screening, però, si interrompe. E oggi i genitori di quei bambini chiedono che il monitoraggio sui loro figli possa continuare, perché vogliono “sapere qual è la loro condizione ora”. Il comitato dei genitori degli alunni del 2008, inoltre, chiede anche la bonifica del sito interessato, perché la scuola possa riaprire, dopo la chiusura di più di cinque anni fa. La paura dei genitori è tanta. Alcuni dicono che “tre insegnanti e due bambini che frequentavano quella scuola si sono ammalati e sono morti negli ultimi anni – spiegano dal comitato – ovviamente questo non vuol dire che ci sia un nesso tra le due cose, o almeno non si può dimostrare”. Ma il dato di fatto resta.

La perizia Sindona. Diciotto siti posti sotto sequestro perché costruiti con il Cic, materiale non ritenuto idoneo all’edilizia stradale ma che andava smaltito come rifiuto: da questo presupposto nasce la richiesta a Giovanni Sindona, direttore del dipartimento di Farmacia dell’Unical, di elaborare una perizia sull’eventuale inquinamento di questi piazzali. Il responso è inequivocabile: “I siti sono inquinati, la presenza di arsenico, nichel, cadmio, zinco e piombo è superiore a quella prevista dai limiti previsti dalla legge”, spiega il professor Sindona. “Ho analizzato i piazzali sequestrati e la presenza di metalli pesanti è preoccupante – continua il perito della procura – questo caso non andava chiuso”. Le perplessità di Sindona sono molte: “Se non c’era inquinamento, perché ora si parla di bonifica dei siti? La bonifica si fa solo se esiste l’inquinamento”.


Giovanni Sindona: “I siti sono inquinati”

La perizia del Ctu (Consulente tecnico d’ufficio) nominato dal Gup – Daniele Martelloni – però è diversa, o almeno in parte. Sulla base di questa perizia il Gup, Gloria Gori, ha deciso per il maxi-proscioglimento. Ma le analisi di Martelloni non sarebbero discordanti con quelle di Sindona: “Anche dalla sua perizia risulta la forte presenza di metalli pesanti – spiega il professore – ma lui ha ritenuto che non ci fosse inquinamento perché non ha potuto valutare il rilascio delle sostanze.

Leggi le conclusioni della perizia Martelloni

L’ex presidente della provincia. Sergio Iritale era presidente della provincia nel periodo in cui la vicenda si è sviluppata. Per ‘omesso controllo’ è entrato anche lui nella lista degli indagati e, come tutti gli altri, non è stato rinviato a giudizio. Ma Iritale è convinto che non è così che doveva andare: “Questo caso andrebbe riaperto, non è possibile che nessuno paghi per questa vicenda”. L’ex presidente della provincia tiene a sottolineare soprattutto una mancanza dal punto di vista politico, più che giudiziario: “Le istituzioni locali non sono state vicine ai cittadini, il Comune non si è neanche costituito come parte civile nel processo, invece questi enti dovrebbero scendere in campo direttamente e schierarsi coi cittadini”.

La sentenza che condanna l’Eni. Nel 2012 il tribunale di Milano condanna l’Eni a un risarcimento di oltre 50 milioni di euro alla presidenza del Consiglio per il danno ambientale procurato nella zona di Crotone dall’ex Pertusola Sud. La sentenza riguarda l’inquinamento causato da tutte le attività della fabbrica dismessa e non solamente le ‘black mountains’, le cosiddette montagne nere di scorie Cubilot accumulate di fianco allo stabilimento negli anni Novanta. Ma alcuni passaggi prendono in considerazione anche la questione Cic: “I prelievi del 2001/2004, nell’area interna allo stabilimento (ndr. costruita col Cic), mostrano senza ombra di dubbio un inquinamento ingentissimo negli strati superficiali del terreno a causa di metalli pesanti – recita la sentenza – le scorie Cubilot non sono inerti, come invece dichiarate ai fini della loro rivendita, soprattutto una volta internate: il contatto con un suolo aggressivo può dar luogo ad un attacco acido tale da causare rilascio di metalli tossici”.

Le scorie Cubilot. La scoria Cubilot è un prodotto derivante “dal trattamento per via termica delle ferriti, che sono residui della produzione dello zinco a partire dal minerale ‘blenda’ che si realizzava in Pertusola Sud”. Il forno Cubilot fu messo in marcia per la prima volta nel 1972 e ha cessato la produzione nel giugno del 1993. Nei 21 anni di produzione si stima che abbia generato 811.215 tonnellate di scorie. Che fino agli anni Novanta non si ritenevano pericolose. Venivano, infatti, commercializzate col nome di ‘Pescor’, un abrasivo per la sabbiatura (ndr. solitamente usati per oggetti di uso quotidiano come le forchette). Nel 1990, però, alcune aziende che utilizzavano l’abrasivo notano un contenuto di arsenico tale da far classificare il prodotto come un rifiuto tossico/nocivo. La commercializzazione del prodotto si interrompe.
Nel 1997 circa 2000 tonnellate della scoria Cubilot vengono usate per la formulazione del ‘Cascoril’, per la costruzione di rilevati e sottofondi stradali. Dal 1998 al 1999 l’uso della scoria viene consentito per la produzione del Cic (Conglomerato idraulico catalizzato), destinato alle “pavimentazioni stradali”.

Foto Cic

Una pietra del Cic (Conglomerato idraulico catalizzato) usato nella costruzione dei 18 siti posti sotto sequestro

Cosa succede ora. La questione Cic a Crotone ha visto nascere due filoni: quello giudiziario è stato affiancato, soprattutto negli ultimi anni, da quello amministrativo. Così il Comune, in accordo con Regione e ministero dell’Ambiente, ha dato il via alla caratterizzazione dei 18 siti costruiti con il Cic per valutare se esiste realmente un rischio di inquinamento e se è necessario procedere alla bonifica di queste aree. La prima fase, quella della caratterizzazione dei siti, si è conclusa. Gli studi del laboratorio Tecnoparco (che ha vinto l’appalto proposto dal Comune) sono stati confermati dall’Arpacal e l’esito è chiaro: il pericolo c’è, bisogna andare avanti e valutare anche l’analisi del rischio. Quella che sarà la seconda fase e che necessita però dei fondi regionali per iniziare. Il Comune, in questo momento, è in attesa che i fondi vengano sbloccati, ma probabilmente ci vorrano ancora alcuni mesi. Una volta finita questa seconda fase si potrà, eventualmente, dare il via alla bonifica dei siti.