Il processo

Com'è 

L'incendio
Il processo
Le iniziative  


 

 

 

 

 

 



Dieci anni in tribunale

All'interno:
- Cui prodest?
- Il primo grado
- L'appello

Seicento litri di benzina in otto punti di fuoco diversi. Chi li ha sparsi? Chi ha detto a questo qualcuno di spargerli? Sin dalle prime perizie gli inquirenti capiscono che si tratta di un incendio doloso e subito partono le indagini per trovare i responsabili.

All’inizio, in realtà, pur avendo assodato il dolo, le indagini per scoprire gli autori materiali del fatto sono archiviate (16 dicembre 1992). Va avanti, invece, l’inchiesta per le manchevolezze riscontrate. Il 30 giugno 1992 sono recapitati avvisi di garanzia ai componenti della famiglia Messeni Nemagna, al gestore Ferdinando Pinto e al custode Giuseppe Tisci. L’accusa è di incendio colposo: il rogo, cioè, sarebbe scoppiato per indolenza e mancata manutenzione dello stabile da parte di chi doveva occuparesene.

Questa inchiesta non arriverà mai al dibattimento e il 21 aprile 1993 gli imputati sono tutti prosciolti.

Il crimine però non può restare senza un colpevole e la forte pressione dell’opinione pubblica spinge a riaprire le indagini contro gli incendiari.

Cui prodest?

Chi ha distrutto materialmente il teatro, ma soprattutto, a chi giovava la distruzione del Petruzzelli? L’inchiesta sull’incendio parte proprio da qui: per trovare il colpevole del crimine bisogna trovare chi dalla rovina del teatro avrebbe tratto vantaggio. Così gli inquirenti seguono la pista interna fino ad individuare nel gestore del teatro, Ferdinando Pinto, il principale indiziato.

Pinto viene arrestato il 7 luglio 1993 con un’ordinanza di custodia cautelare. Secondo l’accusa, Pinto aveva preso un prestito a usura dalla malavita organizzata, poi, non essendo riuscito a pagarlo, aveva acconsentito a far bruciare il teatro. Con i soldi dell’assicurazione e dello Stato avrebbe ricostruto l’edificio e pagato il debito.

Lo stesso 7 luglio vengono consegnati in carcere ordini di arresto a Savino Parisi e Antonio Capriati, boss della malavita locale. Anche Giuseppe Tusci custode del teatro viene arrestato . Sfugge alla cattura invece Vito Martiradonna detto “Vitino l’Enel” e considerato il “cassiere” dei Capriati. I cinque sono accusati di concorso in incendio doloso. Pinto è accusato anche di associazione mafiosa. Parisi e Martiradonna di usura. In sostanza, Pinto sarebbe il mandante del rogo mentre i mafiosi dal carcere avrebbero ordinato ai loro scagnozzi di appiccare materialmente il fuoco.

Gli indizi, però, per il Tribunale della libertà sono troppo deboli e due settimane dopo l’arresto Pinto viene scarcerato.

Il primo grado

Il processo di primo grado si apre il 14 febbraio 1996.

Il “pezzo forte” dell’accusa sono le rivelazioni del pentito Salvatore Annacondia. Secondo Annacondia l’incendio non doveva essere distruttivo ma doveva provocare solo un piccolo danno, in modo tale da fermare il Petruzzelli per un paio di stagioni per rilanciare una tensostruttura che Pinto stava allestendo. I danni del Petruzzelli sarebbero stai riparati con i fondi statali e l’assicurazione. L’incendio ovviamente non doveva apparire doloso ma poi evidentemente agli esecutori è sfuggita la mano.

Tutto questo Annacondia lo aveva saputo in carcere dallo stesso Capriati che proprio dal carcere aveva dato l’ordine dell’incendio all’esterno.

I legami tra i mafiosi e Pinto però non sono ben chiari, (se non per l’interrogatorio svolto in ospedale al musicologo Pierpaolo Stefanelli, che morirà prima dell’inizio del processo), così come non è ben chiaro neanche il movente (la polizza assicurativa non copriva l’intero valore del teatro). E proprio su queste “falle” dell’accusa si basa la strategia della difesa, che punta soprattutto al modo in cui sono state raccolte le prove.

Il procedimento va avanti per due anni. L’8 aprile 1998 i giudici della terza sezione penale condannano Ferdinando Pinto a sette anni e otto mesi di reclusione. L’ex-gestore del teatro è riconosciuto colpevole di incendio doloso e di reati fiscali, mentre è assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. L’accusa aveva chiesto 13 anni. Antonio Capriati e Vito Martiradonna sono riconosciuti colpevoli di incendio doloso e di usura e sono condannati a sette anni ciascuno; il custode Giuseppe Tisci è condannato a tre anni, mentre Giuseppe Mesto, presunto esecutore materiale dell’incendio, dovrà scontare una pena di quattro anni e sei mesi di reclusione.

L’appello

Gli avvocati di Pinto ricorrono in appello e il secondo grado di giudizio si apre il 31 ottobre 2000.

«Pinto era l’ultima persona che avrebbe ricavato qualcosa dall’incendio del Petruzzelli» dice nell’arringa finale il difensore di Pinto, l’avvocato Michele Laforgia, e allo stesso tempo lancia una provocazione e accusa la famiglia Messeni Nemagna proprietaria dell’immobile.

Dopo sei mesi di dibattimento la Corte d’appello riforma la prima sentenza e il 6 aprile 2001 Pinto, ritenuto mandante del rogo, è condannato a 5 anni e 8 mesi di reclusione.

La sentenza è confermata per Martiradonna e Capriati (condannati a sei anni), e per Giuseppe Mesto (quattro anni e sei mesi). Riduzione di condanna per Tisci, ritenuto basista dell’incendio (un anno e otto mesi),

Venerdì 10 maggio 2002 si è aperto il processo in Cassazione, nel quale il procuratore generale ha chiesto l’annullamento delle due sentenze precedenti. Il 28 maggio arriverà il verdetto.


[inizio]