Se
a scuola si insegna "l'inclusione" I
residenti dell’Esquilino si riuniscono in un’aula al piano terra dell’Istituto
Diaz. Una stanza che fa fatica a contenere tutti i convenuti. Dentro, ci saranno
una cinquantina di persone: anziani, soprattutto. Un’altra mezza dozzina
sta accalcata sulla porta troppo stretta, un piede fuori e uno dentro alla stanza
a sbuffare il fumo di una sigaretta e qualche lamentela. “In
ogni città ci vuole un quartiere pattumiera”, dice rabbioso un uomo sulla
cinquantina. “A Roma siamo noi. Siamo la pattumiera della città. Qui nessuno fa
i controlli, provate a chiedere a qualcuno dei commercianti stranieri se pagale
tasse!”. Il tema dell’incontro è quello della mobilità, ma tra problemi di parcheggi
e di corse degli autobus viene fuori anche il risentimento dei residenti per le
condizioni di piazza Vittorio e dintorni.“Nessuno
ci tutela urla un signore anziano”. “Vi dovete vergognare”, inveisce uno dei convenuti
prendendosela genericamente verso il tavolo dove siede qualche assessore. Poi
la rivolta viene sedata d’autorità: “Aho, ma le botte quando me le date? Ma che
so la cameriera vostra?”. Maria Prassede Capozio, presidente dell’associazione
di quartiere, prende la parola e dà una bella strigliata agli astanti.
Quando è necessario, si affida alla diplomazia brutale del romanesco per tenere
testa alla piccola folla inferocita. Del resto lei fa l’insegnante ed è abituata
agli alunni riottosi. Poco male se, per un giorno, dietro quegli stessi banchi
non stanno gli studenti, ma i loro genitori. Ha la faccia un po’ tragica di un’Anna
Magnani, la faccia di chi si appassiona solo alle cause difficili. Sembra una
di quelle madri generose, ma a cui le mani son diventate ruvide a forza di dare
scappellotti. Maria
Prassede Capozio non smette di parlare del quartiere nemmeno a riunione finita,
quando sono le dieci passate e lei si carica tre o quattro sedie per volta e le
porta al piano di sopra, alle aule alle quali appartengono. “perché domani c’è
lezione”, spiega con un po’ di fiatone. Ma intanto parla.
“Inclusione”, dice “Questa deve essere la nostra ossessione. Includere
i tanti stranieri che sono venuti a vivere e a lavorare in questa zona. Il loro
apporto deve essere una ricchezza per noi. E’ già lo è. Siamo riusciti a creare
un’orchestra con musicisti di tutto il mondo. Una cosa bellissima. Dovrebbe sentirli
suonare. E l’integrazione va di pari passo con la lotta contro il degrado. Una
delle cose di cui andiamo più orgogliosi è l’avere salvato dall’abbandono il cinema
del quartiere che versava in condizioni disastrose e che diventerà un luogo per
accogliere iniziative artistiche”.
La signora Capozio non sta ferma un attimo. Sposta le sedie e rimette in ordine,
risponde la telefonino e organizza la prossima riunione. “Ci vuole qualche intervento
sulla piazza, certo. Più illuminazione ad esempio, per far sentire le persone
più sicure, anche se - aggiunge subito - io non mi sono mai sentita in pericolo
a passeggiare per queste strade. Anche
il parco al centro delle piazza andrebbe “aperto”. Adesso è quasi nascosto
alla vista dalle lamiere dei lavori in corso. Ovvio che diventi un bivacco di
emarginati. Bisogna mantenete stretti i rapporti di collaborazione con i negozianti
stranieri. Quando facciamo le campagne per tenere pulite le strade, ad esempio,
troviamo una risposta molto positiva da parte della comunità africana.
Sono
i cinesi a chiudersi nel loro “non parlo italiano”, non appena li
si avvicina. Ma non è colpa loro. Quelli sono schiavi che lavorano giorno e notte
per fare pigiami da vendere a 10 mila lire. Deve essere il sindacato a fare i
controlli a scoprire chi sono i padroni e a garantire una condizione di vita decente
a quei poveracci che stanno inchiodati alla macchina da cucire”. |