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Bottiglia
della Coca Cola
avvolta nelle garze
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La
scossa, a volte, arriva dall'esterno. Per tre mesi dopo gli attentati
all'America
dell'11 settembre Sara non ha lavorato la cartapesta. "Tutto
mi sembrava inutile. Mi sentivo cambiata e quello che avevo
disegnato e pensato prima non mi piaceva più", spiega
la ragazza. "L'attentato e la guerra hanno ferito tutti: Oriente
e Occidente, americani e afgani. È stato ucciso un modo di
vivere", aggiunge. E racconta di un incontro sulla spiaggia
di Rimini.
Sara Teodorani, capelli e occhi bruni, ha al collo un ciondolo grigio,
una della sue prime opere. La prima cosa fatta dopo l'11 settembre
è stata una bottiglia della Coca Cola fasciata con
la garza, la prima di un "gruppo". Spiega: "È
il simbolo del nostro mondo, avvolto nelle fasce perché ferito".
Anche i quadri, dopo la tragedia, sono cambiati: "Immaginavo
solo cimiteri e prigioni e ancora oggi uso molto il grigio-nero".
Sara
ha steso sul bancone quindici quadrati grigio scuro che, allineati
in modo particolare, compongono "Prigioni". "Hanno
un doppio significato: ci sono prigioni vere e quelle create dal
nostro modo di vivere. Chi vi è rinchiuso? I poveri
che muoiono di fame e noi, vincolati da atteggiamenti e abitudini".
E torna per un attimo alla trash art: "Il suo
messaggio è che le cose, una volta usate, non perdono valore
o bellezza. Come le riutilizza e ricicla l'arte, così dovremmo
fare sempre, perdendo il vizio di buttare costantemente tutto e
per poi ricomprarlo". Un mondo da sogno
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"No, piuttosto un mondo dove la gente può fare quello
che sente", riprende decisa. "L'estate scorsa, in spiaggia
a Rimini, un ragazzo senegalese vendeva le sue opere:
con gli oggetti più comuni c'era un quadro colorato con la
sabbia dei deserti, bellissimo. Faceva il mio stesso lavoro, su
una bancarella abusiva però. In ogni paese ci sono persone
che hanno nelle mani e nel cervello l'arte ma non possono esprimerla.
E di questo mi sento responsabile".
Che un mondo diverso è possibile, continua la ragazza, è
stato dimostrato da un evento: "Chi manifestava pacificamente
durante il G8 di Genova chiedeva un modo diverso di vivere
e considerare il mondo povero".
Sara
sta lavorando a un grande scudo grigio, altro quasi quanto lei.
"È una specie di grande maschera - dice - che avrà
solo una retina nella parte alta, come il burka delle
donne afgane". Sara vuole dare l'idea dell'annullamento, della
scomparsa, del silenzio. E conclude: "In fondo è un
po' come mi sento anch'io nella mia vita".
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