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Cristina Colli
 

Padre Davide, il parroco
Il prete filosofo che non ama le prediche

Padre Davide nella chiesa ristrutturata dai detenuti

"Gorgona è il mio primo carcere e, come si dice, il primo amore non si scorda mai". Padre Davide è un frate domenicano e ha cinquant'anni. Ha studiato teologia e filosofia a Torino, Roma e Bologna. Dal 1987 è il cappellano di Gorgona e ne conosce la struttura e le dinamiche alla perfezione. Racconta di avere vissuto mille delusioni e altrettanti momenti di rabbia in questi anni, ma anche tante soddisfazioni.

Prima viveva sull'isola, poi ha creato la casa d'accoglienza e la cooperativa "le Arti" e il tempo da dedicare a Gorgona è un po' diminuito. Ma ogni domenica mattina alle nove , mare permettendo, prendela navetta da Livorno per andare a celebrare la messa e a chiacchierare con i detenuti. E durante la settimana ogni occasione è buona per approdare sull'isola.

E' vero che Gorgona rappresenta un premio per i detenuti?
Vieni dopo un certo numero di anni e per buona condotta. Anche qui ci sarebbe molto da ridire, perché un detenuto che si è comportato bene, anziché premiarlo mandandolo alla Gorgona, premiamolo mandandolo a casa, no?

Quali sono i lati positivi di Gorgona?
Gorgona rispetto alla stragrande maggioranza delle carceri italiane - alla faccia di una legge penitenziaria che prevede il lavoro e della Costituzione che vede la pena come recupero - è l'unica, o quasi, in cui tutti lavorano. E il lavoro aiuta a realizzarti come persona. Il lavoro né come punizione, né come lavori forzati e neanche come lavori palliativi, ma come occupazioni che preparano a reinserirsi nella società.

Ci sono anche lati negativi?
Si respira una specie di schizofrenia. Chi sta a Gorgona, come detenuto, vive una certa "libertà", però poi di fatto risente di leggi penitenziarie che coartano, limitano o comunque vanificano il progetto. Tu dai fiducia a un detenuto, lo tieni tutto il giorno praticamente libero e poi all'improvviso, nell'arco della giornata, gli ricordi che è un detenuto e lo chiudi a chiave. Un altro aspetto negativo è l'isola, che è bella, però "isola" anche dagli altri, in primis dai familiari. C'è gente che il martedì arriva dalla Sicilia o dalla Francia e se si trova il mare grosso la visita salta per una settimana.

Il lavoro con gli animali dà qualcosa in più ai detenuti?
Sicuramente se il lavoro è a contatto con la natura, come a Gorgona, la qualità della pena acquista un respiro molto più ampio, anche più umano e più normale. Gli animali sono tutto, così si recuperano anche certe dimensioni dimenticate come la vita in campagna.

E l'educazione che spazio ha in tutto questo?
Forse la scuola, mi permetto di dire, è un po' malandata. Si privilegia il lavoro a scapito della formazione, che sarebbe uno dei modi per aiutare il detenuto ad appropriarsi della propria identità e dei propri diritti.

Cosa fa di Gorgona una prigione?
Una presenza non sempre qualificante e qualificata della polizia penitenziaria. Quindici anni fa ogni sforzo veniva vanificato dalla loro presenza. Sicuramente adesso è cambiato tanto, anche se rimangono le eccezioni. Penso che da parte del ministero dovrebbe esserci maggiore attenzione a fare venire agenti che siano per lo meno motivati. La parte più pesante e vistosa, che è un po' un freno, è l'atteggiamento del: "non ti allargare troppo che sei in prigione". Io sono "finito in carcere" per caso e davo per scontato, un po' per ingenuità e un po' perché sono idealista di natura, che tutti fossero lì pronti per aiutare il detenuto. Poi ho capito, negli scontri e nelle diatribe, che non tutti hanno questo tipo di approccio con chi ha sbagliato.

C'è libertà sull'isola?
La libertà dell'uccellino che vive in una gabbia d'oro. Nel senso che Gorgona ti fa soffrire di più, perché sei all'aperto, a contatto con la natura e con gli altri, però sei in galera. E a lungo andare questo, per certi aspetti, acuisce ancora di più la sofferenza. Meglio alcune volte non vedere….

Gorgona potrebbe essere un modello da seguire?
Senz'altro. Almeno qui si tenta un tipo di discorso più ampio, che non sia soltanto di chiusura, di coazione, di detenzione

Proviamo a dirla così: Gorgona Sì…
Gorgona è sì rispetto allo scenario generale delle carceri italiane

Ma…
Potrebbe fare molto di più, ad esempio rispetto al lavoro. Se si guardasse al dopo-carcere si punterebbe di più sulla professionalità del lavoro, proprio nel rispetto del detenuto.

Cosa è cambiato in lei con l'esperienza a Gorgona?
Mi sono dovuto rinterrogare su tante cose. Per esempio se mi avessi chiesto prima se avrei mai potuto ammazzare qualcuno, mi sarei quasi scandalizzato. Avrei preso le distanze come la maggior parte della gente fa, in buona fede. Vivendo a contatto con i detenuti invece ho rimesso tutto in discussione. Forse in certe circostanze sì, sarei capace di ammazzare… Accettare questo significa imparare a incontrare la persona come uomo senza più giudicare.

Come è nata l'idea della cooperativa?
Appena uscito non trovi nessuno che ti dia un lavoro o una mano. E ribadisco l'assenza vergognosa dello Stato in primis. Se lo Stato si arroga il diritto di punire una persona, dovrebbe almeno dare lavoro al detenuto che esce. E allora abbiamo realizzato un sogno, io e alcuni detenuti, insieme al direttore del carcere e al vescovo di Livorno. E'importante perché permette a chi ha i benefici alternativi o a chi ha finito la pena, di avere un lavoro e una casa. Chiaramente dopo un congruo periodo di tempo si spera che uno spicchi il volo, anche per lasciare spazio agli altri.

 

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Pubblicazione: maggio 2002