Padre
Davide, il parroco
Il
prete filosofo che non ama le prediche
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Padre
Davide nella chiesa ristrutturata dai detenuti
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"Gorgona
è il mio primo carcere e, come si dice, il primo amore non si scorda mai".
Padre
Davide è un frate domenicano e ha cinquant'anni. Ha studiato teologia
e filosofia a Torino, Roma e Bologna. Dal 1987 è il cappellano di Gorgona
e ne conosce la struttura e le dinamiche alla perfezione. Racconta di
avere vissuto mille delusioni e altrettanti momenti di rabbia in questi
anni, ma anche tante soddisfazioni.
Prima
viveva sull'isola, poi ha creato la casa d'accoglienza e la cooperativa
"le Arti" e il tempo da dedicare a Gorgona è un po' diminuito. Ma ogni
domenica mattina alle nove , mare permettendo, prendela navetta da Livorno
per andare a celebrare la messa e a chiacchierare con i detenuti. E durante
la settimana ogni occasione è buona per approdare sull'isola.
E' vero
che Gorgona rappresenta un premio per i detenuti?
Vieni dopo un certo numero di anni e per buona condotta. Anche qui ci
sarebbe molto da ridire, perché un detenuto che si è comportato bene,
anziché premiarlo mandandolo alla Gorgona, premiamolo mandandolo a casa,
no?
Quali
sono i lati positivi di Gorgona?
Gorgona rispetto alla stragrande maggioranza delle carceri italiane -
alla faccia di una legge penitenziaria che prevede il lavoro e della Costituzione
che vede la pena come recupero - è l'unica, o quasi, in cui tutti lavorano.
E il lavoro aiuta a realizzarti come persona. Il lavoro né come punizione,
né come lavori forzati e neanche come lavori palliativi, ma come occupazioni
che preparano a reinserirsi nella società.
Ci sono
anche lati negativi?
Si respira una specie di schizofrenia. Chi sta a Gorgona, come detenuto,
vive una certa "libertà", però poi di fatto risente di leggi penitenziarie
che coartano, limitano o comunque vanificano il progetto. Tu dai fiducia
a un detenuto, lo tieni tutto il giorno praticamente libero e poi all'improvviso,
nell'arco della giornata, gli ricordi che è un detenuto e lo chiudi a
chiave. Un altro aspetto negativo è l'isola, che è bella, però "isola"
anche dagli altri, in primis dai familiari. C'è gente che il martedì arriva
dalla Sicilia o dalla Francia e se si trova il mare grosso la visita salta
per una settimana.
Il lavoro
con gli animali dà qualcosa in più ai detenuti?
Sicuramente
se il lavoro è a contatto con la natura, come a Gorgona, la qualità della
pena acquista un respiro molto più ampio, anche più umano e più normale.
Gli animali sono tutto, così si recuperano anche certe dimensioni dimenticate
come la vita in campagna.
E l'educazione
che spazio ha in tutto questo?
Forse
la scuola, mi permetto di dire, è un po' malandata. Si privilegia il lavoro
a scapito della formazione, che sarebbe uno dei modi per aiutare il detenuto
ad appropriarsi della propria identità e dei propri diritti.
Cosa fa
di Gorgona una prigione?
Una presenza non sempre qualificante e qualificata della polizia penitenziaria.
Quindici anni fa ogni sforzo veniva vanificato dalla loro presenza. Sicuramente
adesso è cambiato tanto, anche se rimangono le eccezioni. Penso che da
parte del ministero dovrebbe esserci maggiore attenzione a fare venire
agenti che siano per lo meno motivati. La parte più pesante e vistosa,
che è un po' un freno, è l'atteggiamento del: "non ti allargare troppo
che sei in prigione". Io sono "finito in carcere" per caso e davo per
scontato, un po' per ingenuità e un po' perché sono idealista di natura,
che tutti fossero lì pronti per aiutare il detenuto. Poi ho capito, negli
scontri e nelle diatribe, che non tutti hanno questo tipo di approccio
con chi ha sbagliato.
C'è libertà
sull'isola?
La libertà dell'uccellino che vive in una gabbia d'oro. Nel senso che
Gorgona ti fa soffrire di più, perché sei all'aperto, a contatto con la
natura e con gli altri, però sei in galera. E a lungo andare questo, per
certi aspetti, acuisce ancora di più la sofferenza. Meglio alcune volte
non vedere….
Gorgona
potrebbe essere un modello da seguire?
Senz'altro. Almeno qui si tenta un tipo di discorso più ampio, che non
sia soltanto di chiusura, di coazione, di detenzione
Proviamo
a dirla così: Gorgona Sì…
Gorgona è sì rispetto allo scenario generale delle carceri italiane
Ma…
Potrebbe fare molto di più, ad esempio rispetto al lavoro. Se si guardasse
al dopo-carcere si punterebbe di più sulla professionalità del lavoro,
proprio nel rispetto del detenuto.
Cosa è
cambiato in lei con l'esperienza a Gorgona?
Mi sono dovuto rinterrogare su tante cose. Per esempio se mi avessi chiesto
prima se avrei mai potuto ammazzare qualcuno, mi sarei quasi scandalizzato.
Avrei preso le distanze come la maggior parte della gente fa, in buona
fede. Vivendo a contatto con i detenuti invece ho rimesso tutto in discussione.
Forse in certe circostanze sì, sarei capace di ammazzare… Accettare
questo significa imparare a incontrare la persona come uomo senza più
giudicare.
Come è
nata l'idea della cooperativa?
Appena uscito non trovi nessuno che ti dia un lavoro o una mano. E
ribadisco l'assenza vergognosa dello Stato in primis. Se lo Stato si arroga
il diritto di punire una persona, dovrebbe almeno dare lavoro al detenuto
che esce. E allora abbiamo realizzato un sogno, io e alcuni detenuti,
insieme al direttore del carcere e al vescovo di Livorno. E'importante
perché permette a chi ha i benefici alternativi o a chi ha finito la pena,
di avere un lavoro e una casa. Chiaramente dopo un congruo periodo di
tempo si spera che uno spicchi il volo, anche per lasciare spazio agli
altri.
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Pubblicazione:
maggio 2002
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