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Viaggio nella fattoria
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L'isola
 
 
 
Dossier multimediale
realizzato da

Cristina Colli
 

Al lavoro con i detenuti

Padre Davide scende le scale del villaggio

Le facce che si incontrano sull'isola non sono solo quelle dei detenuti. Ci sono quelle di chi sta "al loro fianco". Vivono e lavorano sull'isola un'ottantina di agenti, alcuni civili dipendenti del penitenziario e il direttore del carcere. Ci sono anche un educatore e un medico. Le guardie sono divise nei diversi settori del carcere: i punti in cui si lavora, lo spaccio, il porto, la Sezione, i Limiti, l'osservatorio ecc..

C'è poi chi arriva a Gorgona per lavoro solo una volta la settimana, come il criminologo - Silvio Ciappi - e le assistenti sociali. Paola Navalesi è una delle due assistenti sociali addette al carcere. "Mi occupo di Gorgona - racconta - da un anno e mezzo, ma lavoro nelle prigioni da una decina d'anni e ne ho visti tanti, anche Pianosa". Secondo la Navalesi ciò che rende questo carcere un'esperienza diversa e buona per i detenuti è soprattutto la possibilità di lavorare. "Non distinguerei tanto fra carceri chiuse o aperte - dice - quanto tra posti in cui si ozia e posti, come Gorgona, in cui si può essere attivi. Qui i detenuti vivono sicuramente meglio la detenzione rispetto ad altri posti".

L'assistente sociale ammette di non riuscire ad arrivare a Gorgona tutte le settimana, a causa del mare, che soprattutto in certi periodi dell'anno rende Gorgona inaccessibile a volte per giorni. L'isola è una medaglia con due facce. "I detenuti - spiega la Navalesi - si accorgono di essere su un'isola solo quando devono andare e tornare dai permessi. Se il mare è grosso si devono fermare nel carcere di Livorno e quindi subire l'impatto con un istituto che non è il loro e in cui non sono conosciuti".

In più in molti sottolineano il problema delle visite dei familiari, che spesso sono annullate all'ultimo momento proprio per colpa del mare. "Ma l'isola - precisa la Navalesi - permette colloqui più umani con i famigliari, soprattutto per bambini che possono girare all'aria aperta e non vivono l'incontro come restrittivo e il carcere come istituto. Anche se ovviamente non manca neanche qui la presenza delle guardie, ma è diverso".

Mare permettendo vengono organizzate visite guidate sull'isola

Ci sono poi quelli che "credono" in Gorgona e che fanno di tutto per esserci, quelli che si ricavano momenti dalla propria vita per andare sull'isola per parlare e lavorare con i detenuti. Il veterinario e il parroco prima di tutto e poi gli altri che volontariamente aiutano, per esempio l'agronomo o il maniscalco nell'agricola. Queste persone non avendo un ruolo istituzionale, sono più libere di instaurare con i detenuti un rapporto paritario.

Grazie alle loro competenze professionali li aiutano nel lavoro, ma cercano soprattutto di farli sentire persone al di là della condizione carceraria. "Oltre a lavorare, chiacchieriamo, mangiamo insieme - racconta Marco Verdone, il veterinario - e parliamo di tutto, della famiglia, dei problemi del dopo-carcere, del pre-carcere. Con la maggior parte alla fine si stabilisce un rapporto d'affetto. Per esempio da poco sono usciti due signori sardi che lavoravano con le pecore e mi hanno telefonato già due o tre volte. Insomma vuol dire che il rapporto che c'è stato non era superficiale e formale, ma più profondo".

Chi lavora per Gorgona e in Gorgona crede davvero in questo modello carcerario ed è mosso da un forte entusiasmo. Molto su Gorgona accade proprio grazie all'iniziativa personale, alla voglia di un veterinario di affrontare il mare una volta la settimana e di un parroco di lottare per mesi per mettere in scena uno spettacolo teatrale. Ma proprio per quest'amore verso l'isola chi vive e crede in Gorgona ne sottolinea ancora di più i limiti. "C'è una guardia che è appena arrivata - continua Verdone - gli altri agenti lo trattano da appena arrivato e anche un po' da illuso. L'entusiasmo lascerà presto il posto alla rassegnazione e all'adattamento verso i problemi che non si possono risolvere e che non si sa da dove traggono origine. Spero che resista senza cedere. Gorgona sembra un carrozzone che cammina ma a cui mancano dei princìpi ispiratori".

E padre Davide, il parroco, aggiunge: "Gorgona è una benedizione, rispetto alle altre prigioni, ma peccato che a tanta solerzia non corrisponda un'attenzione proporzionata da parte del ministero". E dopo anni passati a scontrarsi con la burocrazia che spesso ostacola il percorso riabilitativo che si cerca di fare, tutti hanno più consapevolezza dei limiti e dei problemi, ma l'entusiasmo non è calato. Molti concordano nel dire che la difficoltà nel lavorare e proporre iniziative a Gorgona è nell'atteggiamento istituzionale: quasi che tutto ciò che crea impegno e un po' di movimento superfluo dia quasi fastidio.

Racconta padre Davide: "Se tu la pena la vivi come 'adesso te la faccio vedere io, appena posso ti metto i bastoni fra le ruote e ti faccio capire che chi comanda sono io…', allora non si arriva da nessuna parte".

A Gorgona c'è anche un villaggio, le case degli "antichi" abitanti. E' sopra il porto, immerso nel verde. E' formato da piccole casette bianche ed è attraversato da una ripida scalinata in pietra. Ora è rimasta solo la signora Luisa che ha più di settant'anni e che ogni domenica mattina segue la messa di padre Davide, con i detenuti.

 

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Pubblicazione: maggio 2002