Quando
Lamù oscura Marylin
In
Giappone, il 40% della produzione na-zionale cinematografica è
costituita da ca-rtoni animati. La prima reazione che un oc-cidentale
ha di fronte a questo dato, è quella di sorridere, pensando:
"che bambi-noni, questi nipponici!" Ma chi dice così
mostra di ignorare totalmente la genesi e il significato che per la
cultura giapponese i disegni, e poi le animazioni, hanno sempre rappresentato.
Il
dato fondamentale che distingue il tradizionale cartone animato italiano
(o generalmente occidentale) dall’anime giapponese è che mentre i primi
sono pensati e disegnati per un pubblico di bambini, i secondi si inseriscono
nella centenaria tradizione del Sol Levante che vuole nel disegno animato
una delle forme d’arte rivolta a tutta la società.
Un’altra distinzione riguarda poi la qualità dei disegni e delle storie
(o, per meglio dire, delle sceneggiature), che vede nei prodotti giapponesi
un livello professionale mediamente migliore. Ovviamente in Giappone
esistono anche anime per bambini, ma la maggioranza presenta storie
inadatte a un pubblico di giovanissimi.
Un
anime può affrontare la stessa varietà di storie di un film, con l’unica
differenza che l’anime è sempre un disegno animato. Proprio la grande
potenzialità di narrazione, unita all’ottimo successo di pubblico e
al suo costo di realizzazione enormemente minore rispetto a quello di
un film (si pensi solo a quanto si risparmia nel dover pagare solo doppiatori
e non attori in carne e ossa, o al crollo dei costi degli effetti speciali),
ha portato l’industria dell’intrattenimento giapponese a concentrarsi
su questa particolare branca.
Sebbene i film di animazione siano nati in Europa e Stati Uniti prima
della Seconda guerra mondiale, in Giappone, dove sono arrivati solo
negli anni Quaranta, hanno avuto un tale sviluppo che sin da subito
hanno rappresentato più del 40% della produzione nazionale cinematografica.