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L'imam e il parroco
 

 

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l'imam e il parroco
il nemico
un'altra verità

una memoria lacerata

 

Adnan, 23 anni, di Derventa, vive a Kolibe da 4 anni, da quando è l'imam di Kolibe Gornje

Zeliko è originario di Zenica. E nel settembre 2000 è stato nominato parroco di Kolibe Donje

Preferiresti vivere altrove?

Al contrario, sono felice perché in tempi così difficili posso aiutare persone che ne hanno bisogno. Questo si accorda con la mia idea della vita, credo di fare cose che piacciono a Dio.
No, perché? Prima di venire a Kolibe ho passato cinque anni in un altro villaggio. C’erano sei abitanti, io ero il settimo. Del paese non restava più niente. Poco a poco siamo riusciti a ripartire. E a quel punto mi hanno mandato qui.

Kolibe è cambiata da quando sei qui?

Molto, dal punto di vista delle infrastrutture e dal punto di vista morale, e credo anche grazie alla religione. Restano ovviamente disoccupazione e carenze materiali, ma gli abitanti di Kolibe sono ottimisti, sperano che diventi più bella di prima. La priorità ora è portare la gente in condizione di vivere del proprio lavoro, senza più dover dipendere dall’esterno.
Sì, la prima volta faceva paura. Oggi nella sola Kolibe Donje ci sono 48 case col tetto. Anche se molte famiglie non le ho mai viste, e penso che non torneranno mai più.
Come vede la guerra la tua gente? È qualcosa di superato oppure no?
La guerra in Bosnia è finita nel 1995. Parlando come guida religiosa, posso dire che i veri musulmani non pensano alla guerra e all’aggressione, ma cercano di essere amici dell’uomo, senza guardare alle differenze di razza o nazionalità. La spiegazione di queste cose è nel Corano, là dove dice: “Chi uccide una persona innocente è come se avesse ucciso tutto il mondo. Chi aiuta una persona è come se avesse aiutato tutto il mondo”. Dio ci ha creati diversi per provarci, e la missione dell’uomo in questo mondo è di amare e perdonare come fa Dio.
Restano soprattutto i problemi materiali che rendono la vita molto difficile. Non c'è lavoro, non ci sono soldi per ricostruire. Ma la gente ha voglia di andare avanti, si attacca concretamente alla vita. Molte coppie anziane sono serene, hanno ripreso una vita quasi normale, hanno ritrovato la loro terra, le loro abitudini. Parlando con loro, potresti scrivere un reportage più felice. Per i giovani certo è più difficile.
Ma la gente ha paura?
La gente deve avere paura di Dio e deve seguire le sue istruzioni, deve aver chiaro che Dio la vede e la ascolta. Anch’io naturalmente ho paura di Dio, perché conosco le responsabilità della mia missione. Come dice il profeta Maometto, sia la salvezza su di lui e sulla sua famiglia: “L’imam è pastore e sarà responsabile del suo gregge”.
Sì, molte persone hanno paura. Anto viene a dormire in parrocchia perché non vuole restare a casa da solo. Io non capisco tutti questi timori, dei serbi o anche della solitudine. Amo stare solo. Potrei dormire là, in mezzo alla strada.
Pensi ci sia ancora rancore?
E’ difficile dire cosa la gente ha in testa, ma se seguiamo quel che dice il Corano dobbiamo essere pazienti e perdonare.
Si ricreano, col passare degli anni, buoni rapporti di vicinato tra le famiglie, musulmani e cattolici spesso bevono il caffè insieme. E molti lavorano insieme alla ricostruzione.
Cosa dici alla gente in proposito?
Cerco di aumentare la comprensione delle differenze. Di creare buoni rapporti tra le persone, perché tutti preghiamo un solo Dio, anche se in modi diversi, e questo non dev’esserci di ostacolo, perché in tutti scorre lo stesso sangue. Il dialogo tra religioni è oggi più necessario che mai. Per questo colgo ogni occasione per influenzare la mentalità della gente, per aiutarla a convivere meglio.
Cerco di essere vicino a chi ha bisogno. Porto cibo se ne ho in abbondanza, a una famiglia ho prestato un generatore, a una il container nel quale ho vissuto i primi mesi. Passo molto tempo tra la gente, ci ritroviamo per una grigliata o per bere una grappa. Qui il bere e il mangiare sono momenti importanti per ricostruire lo spirito di comunità.
E’ difficile parlare di pace?
La gente ne ha abbastanza di conflitto e sfortuna: vogliono vivere in pace e prosperità, e io mi adeguo volentieri, perché la mia è una religione di pace.

Non è facile esigere il perdono da persone che hanno perso un familiare. Tutti qui hanno avuto almeno un lutto in famiglia. Ma allo stesso tempo la gente vuole dimenticare, lasciarsi alle spalle il passato.

Le altre etnie si comportano correttamente con voi?
Non si può giudicare un popolo dai comportamenti dei singoli. Lo spazio per migliorare i rapporti c’è e va sfruttato.
Questo sì, ma va detto che in un certo senso noi cattolici veniamo lasciati soli. Sto cercando di far capire alla Chiesa che anche noi abbiamo bisogno di aiuto.
Qualcuno tenta di ostacolare la convivenza?
Purtroppo ci sono persone che cercano di peggiorare i rapporti per motivi egoistici. Ce ne sono in ogni paese, e in quelli appena usciti da una guerra certamente ce ne sono di più.
Tempo fa, mentre celebravo un funerale, sono arrivate decine di macchine serbe e si sono fermate sulla strada strombazzando, urlando: "Andate via, questa non è casa vostra". In questa zona, governata dai serbi, per i croati è più difficile trovare lavoro.
Qual è la tua risposta all’ingiustizia?
Rispondi alla cattiveria col bene, e anche il nemico diventerà tuo amico.
Cerco di aiutare chi ha bisogno, indipendentemente dalla nazionalità.
C’è più fede che prima della guerra? Perché?
Il grado di fede di un uomo è solo una questione tra lui e Dio. Ma la sfortuna che ha colpito il nostro popolo in un certo senso gli ha aperto la mente, per trovare la salvezza nel credo. Le persone lentamente si rendono conto che la loro esistenza è limitata, come lo è ogni altro loro potere. Come sono nati senza niente, così andranno all’altro mondo senza niente, solo con le loro buone e cattive azioni.
La gente tiene molto alla religione. Molti cattolici che abitano in Croazia vengono qui ogni domenica per celebrare la messa, è anche un modo per sentirsi una comunità. Ma per molti è stato difficile accettare il dolore, l'idea che Dio abbia permesso tanta crudeltà.
Perché è iniziata la guerra?
Dovrebbero dirlo gli storici, io posso dire solo questo: un vero credente non scatena una guerra, perché l’obiettivo di ogni religione è l’amore. Noi non usiamo spesso la parola guerra, l’abbiamo cambiata con "pace".
Sono stati i politici a volerla. I popoli vivevano bene, pur nelle rispettive differenze, erano educati a rispettarsi l'un l'altro. Anche se ha torto chi parla di convivenza: eravamo vicini, non mescolati. La stessa forma del paese di Kolibe ne è la prova.
Tre motivi per l’inizio della guerra.
Elencherei più volentieri molti motivi per cui non sarebbe dovuta scoppiare. I veri motivi li sa chi l’ha condotta e voluta.
Come ho detto, l'hanno voluta i politici.
Chi ha più responsabilità?
Non posso valutare le colpe. Ci sono i tribunali competenti, saranno loro a giudicare le responsabilità.
(Intervista raccolta per iscritto. Traduzione di Admir Masic)

I cetnici hanno commesso molti orrori. Ma oggi bisogna dimenticare, ricominciare a vivere davvero.
(Da una conversazione con don Zeliko nell'estate 2003)


 

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