L'acqua dei pozzi a dire il vero non è più potabile da anni. I nitrati dei fertilizzanti l'hanno resa imbevibile. Un motivo per compromettere definitivamente l'equilibrio idrogeologico della bassa valle del Metauro? È un dubbio che è sorto a molti in città da quando, nel 2004, la Provincia di Pesaro e Urbino ha approvato il nuovo Programma Provinciale delle Attività estrattive. Sì perché anche nel Piano Regionale, la legge che disciplina questa materia dal 1997, si consiglia alle province di rispettare un chiaro principio di precauzione. In base alla legge nazionale infatti non si può fare nessun tipo di attività estrattiva a meno di 200 metri dai pozzi. La regione ha precisato però che: “Il più delle volte l'applicazione di una zona di protezione puramente geometrica ( 200 metri di distanza dal punto di prelievo) non garantisce la tutela della risorsa acqua. Pertanto le amministrazioni provinciali, nell'individuare i giacimenti sfruttabili e in attesa della definizione delle aree di salvaguardia da parte della Regione, dovranno valutare queste possibili interferenze e individuare le aree dove vietare l'esercizio dell'attività estrattiva in funzione della reale estensione dei bacini idrogeologici di ricarica”. Nonostante questa indicazione i tre megapoli estrattivi programmati nel comune di Fano per i prossimi 10 anni si trovano esattamente a monte di alcune pozzi e di un grosso impianto dell'acquedotto fanese che rende potabile l'acqua di falda diluendola con quella del fiume.
L'Aset, l'azienda municipalizzata di Fano lo ha costruito anni fa spendendoci molti miliardi di vecchie lire. Oggi pare strano che si permetta di scavare via quella ghiaia che ancora svolge la sua funzione e che dà senso anche a quell'impianto. Ci sono dei marchingegni studiati per rendere più gradevole un'acqua che tanto gradevole non è più. Sono sistemi di filtraggio che contengono vari strati di minerali all'interno. In natura questo sistema di filtraggio esiste già. La ghiaia che contiene la falda acquifera sta lì apposta. Le acque piovane filtrando attraverso i vari strati di ghiaia ripuliscono l'acqua come quei filtri. Se si scava via la ghiai, il filtro smette di funzionare come dovrebbe e anche i miliardi spesi per quell'impianto diventano di colpo soldi sprecati. Infatti più sottile è lo strato più è facile che qualcosa filtri attraverso la poca ghiaia rimasta e finisca nei pozzi di cui Fano fa uso nei periodi di siccità, quando la sua popolazione raddoppia per i turisti. Una associazione di studiosi, geologi chimici e ingengneri di Fano da un anno circa tenta di ottenere risposte dall'Amministrazione Provinciale sui motivi che hanno spinto a fare scelte così azzardate. Ma le risposte non sono mai arrivate. Il Presidente della provincia ha più volte sottolineato che il piano è stato scritto nel rispetto delle regole, ma non h dato spiegazione riguardo alla violazione delle indicazioni della Regione. Rimane solo la speranza che i controlli vengano fatti in modo capillare e che l'acqua dei fanesi sia salvaguardata sia con i controlli successivi ma soprattutto attraverso le valutazioni di impatto ambientale che ogni progetto di cava deve riviere. In realtà il sistema di valutazione dell'impatto ambientale dei singoli progetti di cava presenta alcune caratteristiche strane. Primo fra tutti il metodo di raccolta dei dati. Tutti i dati oggi esistente sulle attività estrattive, sono stati raccolti dagli studi di geologi professionisti che hanno lavorato per anni per i cavatori. Lo stesso Programma Provinciale per le Attività estrattive scritto, che solo a Fano ha individuato tre mega poli estrattivi da 2,4 milioni di metri cubi di ghiaia in dieci anni, ha visto all'opera lo stesso studio di geologi che ha progettato molte delle cave fanesi negli anni passati. Qualcuno lo chiamerebbe conflitto di interessi, altri potrebbero semplicemente sollevare dei dubbi. Il modo migliore per fare chiarezza sarebbe parlarne, ma di cave a Fano, si parla sempre poco. |
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