i vogliono un paio di ali per vedere quei buchi nella terra. Bisogna guardarli dal cielo per comprenderne a fondo la storia. Quadrati, trapezi, rettangoli. Sono specchi d'acqua dalle innaturali forme regolari, ritagliati nei campi verdi, lungo le rive del fiume, a poche centinaia di metri dal centro. A Fano, infatti, il fiume sfocia in periferia senza passare per la città. E forse è anche per questo che nessuno si è mai accorto di cosa sia successo per anni lungo gli argini del Metauro.

Nella provincia ci sono 474 cave di cui 48 attive e autorizzate e 426 dismesse. Nel 2001 le città con il maggior numero di cave nella provincia di Pesaro e Urbino erano Fano con 30 cave e Fossombrone con 27.

Questo attività si concentra fin dagli anni ‘60 lungo la valle del Metauro, il bacino più esteso delle Marche settentrionali. Il fiume scorre veloce per Fermignano, poco sotto Urbino, poi a Fossombrone in una valle alluvionale di circa 2 km di larghezza, poi rallenta, depositando pietre, sassi e sabbia su un'area che si allarga fino a 6 chilometri alle porte di Fano.

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In giallo le cave dismesse, in rosso quelle attive e in blu i futuri poli estrattivi di Fano

Da qui parte il nostro volo alla scoperta delle cave del Metauro.

Quando la giornata è tersa si possono vedere anche dagli aerei di linea che partono dall'aeroporto di Ancona, come le grandi opere di urbanizzazione. Riflettono il sole come enormi piscine. Quei laghi, oggi dedicati principalmente alla pesca sportiva, sono cave dimesse, ovvero quello che rimane di vecchie cave, risistemate e chiuse. L'acqua che c'è dentro viene direttamente dalla falda. Fino al 1997 era possibile scavare così in profondità da raggiungere la falda acquifera, cioè il punto in cui il fiume scorre sotterraneo. Oggi quei laghi sono punti in cui la falda emerge a cielo aperto perché tutto quello che c'era sopra è stato portato via. La ghiaia, che di solito fa da filtro naturale per le acque piovane che alimentano la falda, oggi in molti punti, in più di 400 punti è stata tolta.

Risalendo il Metauro, tra un laghetto e l'altro si cominciano ad intravedere le nuove cave, quelle ancora attive che col passare degli anni i cavatori hanno dovuto concentrare in pochi grandi poli. Si è impedito di scavare troppo a fondo per salvaguardare la falda, pianificando però la creazione di cave su aree molto estese del territorio. “Una scelta motivata dall'altissima richiesta di materiale estrattivo che proviene dall'edilizia e comunque sempre nel rispetto delle leggi imposte dalla Regione” precisa il Presidente della Provincia Palmiro Ucchielli.

Dall'alto le cave sono macchie più chiare, tra il verde dei campi. Sono grandi aree marroni con una specie di ragno al centro. Sulla punta di ogni zampa cerchi di varie misure. Sono le montagne di sabbia e ghiaia accumulate dopo il lavaggio e la separazione dei materiali di diverso calibro. Nastri trasportatori caricano il materiale ancora mischiato in mezzo alla terra, lo portano dentro una grosso frantoio che le spezza e separa.

Qualcosa di simile lo si vede anche sorvolando la Val Merecchia , nell'entroterra riminese. Una valle da cui si è estratta ghiaia per decenni. Quello che è successo anche nella valle del Metauro e che molti temono possa succedere ancora per molti anni.


Una cava in val Marecchia, in provincia di Rimini

Man mano che si prosegue verso l'entroterra si incontrano altre cave, non solo a Fano, anche a Montemaggiore al Metauro, a S. Ippolito e a Fossobrone. Tutti i comuni che si affacciano sul fiume hanno la loro cava, tanto che non è difficile imbattersi in vie dai nomi molto significativi, come, appunto, Via delle Cave.


Ponte sul Metauro nel Comune di Montemaggiore

Se dall'alto si vedono bene i punti in cui le cave stanno ridisegnado punti della valle, bisogna farsi una passeggiata tra gli scavi per capire come funziona questa attività.

I nuovi progetti di cava presentati dopo la scrittura del Programma provinciale delle attività estrattiva (PPAE) impone di lasciare uno strato di ghiaia al di sopra del livello di affioramento della falda di 3 metri . Questo non avveniva fino a prima del 1997. Entrando in un grossa cava attiva nella zona di Tombaccia a sud di Fano, saltano agli occhi due cose, le grandi montagne di sabbie e sassi accumulate vicino al frantoio e un lago contenuto da un argine che sembra quasi sospeso nel mezzo del nulla. Anche quello parrebbe un lago dovuto all'emersione della falda.

Passeggiando si rischia spesso di finire con i piedi in una delle pozze di fango di color marrone molto chiaro, sparse qua e là.

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Il terreno è scivoloso e acquitrinoso.

In un'altra cava nella zona di Torno, risalendo lungo la riva destra del Metauro, un laghetto in basso, proprio adiacente al fiume serve da presa d'acqua per i lavaggi della ghiaia. Più in alto due vasche dove l'acqua torbida viene ributtata e lasciata per parecchio tempo finché tutto il fango non si è depositato. Quella che rimane, ripulita, viene ributtata nel fiume.

Queste vasche sembrano veri e propri laghetti anch'esse. Ma se si prova a lanciarci un sasso rimane sospeso. Il fango è così denso che nemmeno un pezzo di mattone bello pesante sprofonda. Quel fango è praticamente impermeabile e blocca ogni forma di percolazione delle acque su tutta l'area che ricopre e sull'area su cui, al momento della chiusura della cava potrebbe essere ributtato. Quanto più grandi sono queste vasche tanto maggiore è l'area impermeabilizzata, tanto più difficile, in generale, la rialimentare la falda.

“Quando queste attività vengono fatte nel totale rispetto delle regole, si riesce a dare una risposta alla domanda di materiali indispensabili per l'edilizia senza danneggiare l'ambiente e l'equilibrio idrogeologico di lungo periodo del territorio” spiega Carmela Paletta, ricercatrice in idrogeologia presso la facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali dell'Università di Urbino.

Ma i controlli non sempre sono stati puntuali in passato.

Considerato che per i prossimi dieci anni la Provincia di Pesaro e Urbino ha deciso di aprire tre nuovi mega-poli estrattivi molto vicini a zone definite idrogeologicamente sensibili, qualcuno in città hanno cominciato a preoccuparsi che la dovuta precauzione non sia stata usata e che non siano stati messi in conto i possibili danni di un'attività che già in passato, tra anarchia e irregolarità, ha arricchito pochi e danneggiato un bene di tutti, l'acqua.