Quella di Paolo non è l’unica storia di un’attività che rischia di scomparire. Sono molti gli allevatori ridotti alla disperazione.

Guglielmo Frattali, proprietario di un’azienda agricola ad Anagni, ha combattuto una battaglia assieme ad altri sei allevatori per salvare le sue mucche.

Nonostante i test condotti dall’Asl avessero dimostrato che il latte era normale, l’Ufficio Commissariale per l’emergenza del fiume Sacco ha disposto la distruzione del bestiame in via precauzionale.

La signora Musa Celestina ha aspettato mesi prima che la Regione venisse a prendere le balle di fieno contaminato, accatastate nel cortile di casa, a Sgurgola. “Abbiamo aspettato il nulla osta della regione Lazio – spiega – perché non avevamo la certificazione di azienda bonificata, ma queste balle puzzavano nel cortile”.

Franco Vitozzi, proprietario di un’azienda a Morolo, non riesce più a vendere il latte alla Centrale del latte di Roma: “Da me non è stato trovato esacloro nelle mucche e nel fieno, il mio terreno è a 900 metri dal fiume, non c’è nessuna disposizione dell’Ufficio commissariale, eppure non riesco a vendere il latte da maggio”.

Alberto Marchioni riesce a stento a trattenere le lacrime mentre parla della sua disgrazia: “dal 15 aprile del 2005 siamo bloccati, non abbiamo potuto più consegnare il latte e alla fine abbiamo ceduto all’ordinanza di abbattimento del bestiame”. Quelle 119 mucche che l’anziano Alberto chiamava per nome, dopo sessant’anni di fatiche, non verranno neanche indennizzate con un prezzo equo. Il listino su cui si basa la Regione, dice, non rispecchia il valore degli animali, né i prezzi di mercato. E poi la denuncia disperata: “Non so che fine hanno fatto le mie mucche, se sono vive o morte. Dove sono i certificati? Noi stiamo peggio di prima! Prima davo il latte alla discarica e mi pagavano. Adesso ho le rate dei trattori, chi mi da i soldi?”