In pochi ricordano
il campo d'accoglienza di Santa Maria al Bagno. Anche a Nardò,
prima che con la medaglia d'oro arrivassero flash e telecamere ,
quasi nessuno raccontava la storia di quegli anni tremendi e affascinanti.
Più che una rimozione, un oblio.
Le facce,
di quegli uomini e di quelle donne venuti da così lontano.
I loro racconti di sofferenza. La loro rinascita in riva allo Ionio.
Storie esemplari che ogni nonno avrebbe dovuto raccontare ai suoi
nipotini e invece sono sbiadite nel tempo.
Ciò
non vuol dire che di quei straordinari anni in cui il Salento diventò
centro del mondo non ci sia un adeguata documentazione storica.
Anzi. Grazie alla passione e alla lungimiranza di un diciottenne.
Antonio Mazzarella. , Mazzarella era cugino, di certi pescatori
di Santa Maria, aveva una sfrenata passione per le foto e già
un discreto talento. Così il comando inglese lo nominò
fotografo di campo.
Il resto lo
ha fatto Paolo Pisacane. Lui nel 47 non era ancora nato. Ma trascorse
l'infanzia a Santa Maria. Per lui e gli altri bambini, la casetta
dei murales era un posto per giocare a nascondino. Da grande a voluto
capire che cosa fossero qui strani segni sul muro. E allora si è
messo alla ricerca. Prima a messo insieme le foto dell'epoca, poi
ha scovato e contatto molti dei profughi ebrei che passarono in
quegli anni da Santa Maria.
Ci sono voluti
anni ma lui e la A.P.M.E. (Associazione Per i Murales Ebrei di Santa
Maria al Bagno) hanno ricomposto il puzzle. E grazie a loro se decenni
di oblio non hanno cancellato tutto. E grazie a loro che siamo riusciti
a mettere insieme in questo sito imagini e parole dei testimoni
del desplaced camp number 34.
|