Felice... di scolpire

[Ascolta l’intervistaa Felice Tagliaferri]
[Guarda Felice Tagliaferri all'opera]
L’aula è percorsa da un brusio,
da risate concitate, nell’aria c’è una certa elettricità dovuta alla concentrazione.
Felice Tagliaferri, scultore, si muove tra i banchi, coperti
con fogli di vecchi quotidiani, dove i ragazzi lavorano a coppie: devono
riprodurre con la creta il viso del loro compagno. Felice si ferma continuamente
a dare spiegazioni, a dimostrare come si prendono le misure e si calcolano
le proporzioni, come si fa a dare forma a un sopracciglio, aggiungendo o
togliendo un pizzico di creta alla volta. Felice
fa tutto questo usando solo il tatto: ha perso la vista a
14 anni e oggi, che ne ha 39, insegna – a bambini e adulti - a usare le mani
per scolpire e modellare, come fossero occhi. Con le dita impiastricciate
di creta, prende tra il pollice e l’indice il naso di una ragazza per valutarne
la forma, mentre poco più in là – seguendo il suo esempio - un ragazzino,
con la bocca semiaperta per la concentrazione, misura, poggiandoci sopra entrambe
le mani, la fronte del suo compagno, capelli rossicci e aria pazientemente
rassegnata. Questa scena si ripete in ognuno dei corsi tenuti da
Felice, che quest’anno, ad esempio, ha visitato 40 scuole in tutta Italia
e, dal 2006, dirige a Villa Terracini, frazione del comune di Sala Bolognese,
una scuola di arti plastiche, chiamata “Chiesa dell’arte”
e allestita in una vecchia cappella sconsacrata. I corsi sono aperti a tutti:
“L’età dei miei allievi va dai sette ai 75 anni” dice Felice, che sostiene
che artisti si nasce e non si diventa: “l’essere riconosciuti tali dipende
da come e da quanto ognuno coltiva le proprie capacità”. Il suo
primo incontro con la scultura risale al 1998: “Avevo saputo per caso – racconta
– che Nicola Zamboni, uno scultore bolognese, cercava tre
o quattro non vedenti per capire quanto fosse necessario vedere per poter
fare questo lavoro”. Se nel giro di un paio di lezioni Zamboni esaurì le sue
curiosità, scoprendo che la mancanza della vista non era un ostacolo insuperabile,
per Felice iniziò la passione. “Nel 2001, a Modena, feci la prima
mostra: non dissi a nessuno – ricorda - che ero non vedente perché
non volevo che le mie opere fossero apprezzate per questo motivo. L’esposizione
ebbe successo e da allora ho realizzato un centinaio di sculture, usando il
legno, la creta, il marmo e la pietra”.
I suoi soggetti preferiti? "I corpi, in generale - risponde - quelli delle
donne in particolare perché il corpo di una donna rappresenta il massimo della
bellezza artistica". Se gli si chiede quali sono le difficoltà a
scolpire senza vedere, Felice risponde: “Io non trovo nessuna difficoltà:
sono tuttora convinto di vedere – racconta – e mi accorgo
del contrario solo quando magari sbaglio di 20 centimetri nell’imboccare una
porta e sbatto contro il muro. Il rischio di farmi male mentre lavoro esiste
come per chiunque altro: per la pietra e il marmo uso lo scalpello e il martello
e con il mignolo sento la superficie dove tolgo il materiale. Il legno invece
è più complicato perché si utilizzano delle sgorbie, scalpelli particolari,
molto affilati con i quali si “affetta” il legno piano piano. L’attenzione
comunque è l’unica precauzione a mia disposizione”.

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