Nozze d’oro con la Città dei Ragazzi


Pubblicato il 16/04/2012                          
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Porfirio Grazioli

ROMA – “Tutto è rimasto come prima, non è cambiato niente. Quello che vedete è un tavolo di tante lacrime”. Porfirio Grazioli, il Preisidente della Città dei Ragazzi, apre la porta del suo studio: lo stesso del fondatore, Monsignor Caroll-Abbing

Da quanto tempo lavora qui?

Ho festeggiato proprio quest’anno i miei 50 anni. Sono arrivato nell’ottobre del 1962 e sono Presidente dal 2001, prima lavoravo come Direttore Responsabile ed educatore.

Qual è il ruolo dell’educatore nella Città?

Non sono una guida ideale che aiuta gli altri, non sono dei modelli, sono solo delle persone che mettono la buona volontà e devono scegliere di voler bene, il segreto è tutto nell’amore. Soprattutto non devono avere paura che i ragazzi possano sbagliare. Quando un ragazzo è pronto a consegnarti le chiavi del suo cuore bisogna dargli fiducia, ma anche sfidarlo: tirargli fuori le sue risorse personali e dargli la possibilità di realizzarsi autonomamente. La Città è una palestra di responsabilizzazione, partecipazione, cittadinanza.

Questa palestra di quanto ha bisogno per stare in piedi?

Fortunatamente esiste una fondazione italo-americana che ci aiuta. Dagli Stati Uniti arrivano ogni anno un milione di dollari, per stare bene la Città ha bisogno di due milioni, due milioni e mezzo di euro. Altri soldi arrivano anche dall’Italia: tramite donazioni o con il cinque per mille. Poi ci sono le rette dei comuni. Il Comune di Roma, per esempio, dà per ogni ragazzo poco meno 70 € al giorno, ma non bastano neanche per le stringhe. Ne servirebbero almeno 150, 200. Le rette poi sono giornaliere, quindi se il ragazzo non è presente quel giorno, i soldi ci vengono tolti. Anche se il cuoco, il pranzo, lo ha cucinato anche per lui. Riusciamo a cavarcela perché siamo ben avviati, quindi ammortizziamo con le risorse economiche che abbiamo investito in 50 anni.

Dal Vaticano non arriva nulla?

No, niente fondi, si limitano a controllare che i conti siano in ordine per non avere problemi, Verzè docet.
La Città è un ente morale di diritto privato ed è considerata un’opera di religione perché protetta dalla Congregazione dell’educazione cattolica. Questa formula è stata scelta da Monsignor Abbing e ha portato ad avere oggi nel nostro statuto due condizioni: se la Città dovesse sciogliersi tutto il capitale andrebbe al Vaticano, che ora è proprietario del suolo, in più, ogni anno, dobbiamo presentare il rendiconto delle nostre spese.

Monsignor Abbing ha fondato la città nel 1953. Quante cose sono cambiate in questi anni?

Dalla nascita ad oggi è cambiato il mondo e sono cambiate le condizioni nelle quali lavoriamo. Prima di tutto in Italia non ci sono più ragazzi abbandonati per la strada come nel dopo guerra, oggi la popolazione della città è fatta soprattutto di stranieri che arrivano quando hanno 16, 17, 20 anni. Riescono ad avere un pezzo di carta in cui dicono che ne hanno 16, ma la parte formativa della loro personalità è stata superata ed è più difficile a quel punto inserirsi in una comunità, fare un’azione pedagogica importante. Poi i nostri cari governanti si sono inventati anche il reato di clandestinità e la legge ci obbliga a mandare via i ragazzi stranieri quando diventano maggiorenni.

Quali rischi corre se tiene un ragazzo straniero che ha più di 18 anni?

La legge Maroni sostiene che potrei avere i miei interessi a tenerlo oltre i 18 anni. Sono connivente, passibile di denuncia. Con i ragazzi italiani non è molto diverso, loro possono rimanere almeno fino ai 21 anni, ma i fondi dell’assistenza sociale si riducono drasticamente: mi sembra che l’ultima cifra si aggirasse sui 10 € giornalieri. Quindi se rimangono è praticamente tutto a nostre spese. Può immaginare quanto livore ho coltivato nei confronti di questa legislazione negli ultimi 50 anni. E pensare che in Italia a 18 anni non si finiscono neanche le scuole superiori!

C’è qualcuno che riesce ad essere adottato?

L’istituto dell’adozione è un’illusione. La percentuale di ragazzi che vengono adottati, sopratutto quando sono così grandi da arrivare da noi, è scarsissima. Possiamo contare i casi sulle dita di una mano. Tutti gli adolescenti sperimentano una normale “centrifugazione”, per i nostri ragazzi è tutto più complicato e quindi l’inserimento in una famiglia si fa difficile. La Città cerca di essere quella famiglia, di dar loro non solo un tetto e un pasto caldo, ma un posto dove sentirsi sicuri e realizzarsi. E quando raggiunge i suoi obiettivi fa anche un grande lavoro di prevenzione della microcriminalità. I ragazzi se lasciati soli, corrono il rischio di perdersi. Anche lo Stato ci guadagnerebbe: per un ragazzo qui dentro spende 70€, a Casal del Marmo almeno dieci volte di più..

 

 

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