C’è chi abita nel ‘piccolo Colosseo’, chi si affaccia alla finestra dalle mura aureliane, chi vive sulle rovine del teatro di Pompeo e chi aprendo una botola in cantina si ritrova in un sotterraneo di epoca romana. In una città come Roma, in cui anche un piccolo scavo di superficie può portare alla luce tesori nascosti, non è raro entrare in contatto ‘intimo’ con la storia. Tanto intimo, a volte, da viverci dentro.
Non esiste un registro che cataloghi tutti i monumenti di proprietà privata. Per scoprire se un determinato bene archeologico è abitato oppure no bisogna rivolgersi alla Soprintendenza al quale il monumento fa capo. Ma fare questo tipo di schedatura in una città ricca di edifici storici come Roma può risultare complicato. Quello che però si può fare è andarsene in giro con il naso all’insù, cercare panni stesi ad asciugare in posti impensabili, curiosare tra i nomi dei campanelli di porte che mai avremmo pensato potessero essere aperte da una persona qualunque.
Palazzo Orsini. È incastonato tra le rovine del Teatro di Marcello, una delle più antiche costruzioni della Roma antica, ai piedi del Campidoglio. Dal medioevo in poi subì vari passaggi di proprietà: diventato un castello fortificato, fu acquistato dai Fabi detti di Pescheria e poi dai Pierleoni. Solo nel XIV divenne di proprietà dei Savelli che commissionarono a Baldassarre Peruzzi la realizzazione del palazzo. Nel XVIII secolo ne divennero proprietari gli Orsini duchi di Gravina che, tramite alcuni lavori, gli diedero la forma che conosciamo oggi. Negli anni ’30 ci furono vari espropri che ebbero l’obiettivo di liberare le abitazioni che si erano formate nelle arcate. Negli anni ’50 il palazzo passò a Iris Origo, l’autrice di “La guerra in Val d’Orcia, diario italiano”.
Oggi l’edificio è composto da vari appartamenti: l’ambiente padronale comprende tre stanze da letto, il salone principale, la biblioteca, la sala da pranzo e la splendida sala da ballo. L’altro appartamento ha anch’esso tre camere, una cucina, due bagni, una sala da pranzo e una enorme terrazza di 75 metri quadrati. Ma non finisce qui: 431 metri quadrati di cantine si estendono sotto al palazzo e si intersecano con i resti del teatro di Marcello. Tutto questo è stato messo in vendita nel 2012 alla ‘modica’ cifra di 32 milioni di euro.
Abitare sopra ai resti del teatro di Pompeo. A via di Grotta Pinta a Roma, vicino a Campo de’ Fiori, i palazzi sono costruiti a semicerchio. Quasi gira la testa a guardare le loro finestre e passeggiando per strada si ha la sensazione di camminare sugli spalti di un teatro. Ed effettivamente un teatro c’è. Sottoterra. È il teatro di Pompeo, uno dei più antichi di Roma. Eretto tra il 61 e il 55 a.C dal console Pompeo, fu il primo a non essere costruito in legno, come voleva l’usanza del tempo, ma in muratura. La cavea era talmente grande da estendersi fino a largo Argentina e la sua forma a semicerchio è ancora oggi riconoscibile dall’andamento delle abitazioni di via di Grotta Pinta, via del Biscione e via dei Giubbonari. Sulle sue rovine, infatti, vennero edificate le dimore degli Orsini e la chiesa di Santa Barbara dei librai. Ma non si tratta solo di nobili edifici: tutte le abitazioni della zona custodiscono nelle cantine gli antichi resti. E alcuni ristoranti e hotel ne hanno fatto anche un vanto.
Mura aureliane. L’antica cinta muraria costruita dall’imperatore Aureliano tra il 250 e il 270 a.C. che circondava Roma per 19 chilometri e che doveva fare da scudo agli attacchi dei barbari non ha svolto nel tempo solo una funzione difensiva. Le mura, conservate oggi in buono stato, sono state inglobate in epoca moderna in proprietà private. Così tra i mattoncini sono spuntate finestre, portoni di case, serrande di officine e di negozi, abitazioni più o meno abusive che ne hanno cambiato l’aspetto originario, soprattutto nella zona tra porta Pinciana e piazza Fiume e tra porta Tiburtina e porta Ardeatina.
Villa Gentili – Dominici. Può una villa essere incastonata tra le mura aureliane? L’edificio Gentili-Dominici sorge sulla cinta muraria, ne ingloba una torre e il cosiddetto ‘Acquedotto Felice’. Ma non solo: ha anche un immenso giardino pensile. Il terreno a ridosso delle mura aureliane fu acquistato nel 1739 dal marchese Filippo Gentili. Proprio qui, tra porta San Lorenzo, la vigna Polidori e quella di Pietro Maria Martin, Gentili decise di edificare la sua villa. Dopo la sua morte e quella del cardinale Antonio Saverio Gentili fu nominata erede dei beni Margherita, che sposò Giuseppe Boccapaduli e donò la villa al principe Urbano Del Drago Di Biscia, che aveva sposato una sua figlia adottiva. Fu ceduta in seguito alla principessa russa Elisa Cherementeff, che nel 1913 la vendette a Gustavo Dominici. Per permettere la costruzione della caserma di via Marsala, parte dei giardini furono espropriati. Ma nella villa rimane comunque un giardino pensile unico nel suo genere, ricavato dal camminamento di ronda di un tratto delle mura.
Una scuola d’arte tra le mura aureliane. Passeggiando su via Campania, a ridosso delle mura aureliane vicino a villa Borghese, si scopre un piccolo portone pitturato di verde. Alzando lo sguardo sopra la porta si notano alcune vetrate di diverse dimensioni. Non sono rotte nè danneggiate come tante altre che si trovano lungo la cinta muraria: è questo il segno che forse all’interno si nasconde un luogo ancora abitato. Vicino alla porta, cancellata dal tempo, c’è una lastra di pietra con una piccola incisione: “Scuola d’arte educatrice”. Ma come è possibile che una scuola si nasconda proprio in un spazio simile, che dall’esterno appare stretto e angusto? La risposta è nella prospettiva ingannevole: la torre XXXIX un tempo ospitava non solo una scuola ma anche una delle più grandi fornaci per cuocere maioliche, oggi non più esistente. Fondata nel 1890 dal pittore e ceramista Francesco Randone, noto anche come ‘Maestro delle Mura’, la scuola aveva il compito di “‘insegnare quanto non si insegna nelle scuole pubbliche’ ossia: povertà, diretto contatto con la natura, dalla quale trarre ispirazione, strumenti e insegnamenti”. Randone, che abitava proprio nella Torre, aveva iniziato l’attività di insegnamento ricevendo gratuitamente i ragazzi a casa. Nel 1894 viene nominato Conservatore delle Mura dal Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli. Da quell’anno elegge a propria dimora la Torre XXXIX ad est del Tevere, nel quartiere Ludovisi, dove prosegue ad occuparsi della scuola che viene battezzata ‘Scuola Gratuita d’Arte Educatrice’. Nel 1895 decide di dar vita alla prima grande fornace e inizia a sperimentare la realizzazione dei suoi ‘buccheri’, oggetti completamente neri ricavati da un impasto artificiale. Oggi al numero civico 10 di via Campania la scuola c’è ancora: viene portata avanti dalle figlie e dalle nipoti che hanno dato vita all’associazione culturale Arte Educatrice Museum onlus, che opera ovviamente nel campo artistico e organizza laboratori di ceramica, tornio, acquerello, corsi di disegno e di decorazioni su porcellana. Oltre a far conoscere la ricca storia del suo fondatore e della mura, la scuola si fa promotrice del motto: “Se guardi attentamente troverai delle meraviglie”.