Accoglienza negata per i migranti all’aeroporto di Fiumicino/ Video
Pubblicato il 20/04/2014
Tarek (nome di fantasia) non è arrivato in Italia a bordo di uno dei tanti barconi che attraversano il Mediterraneo pieni del loro carico di disperazione. Ha speso tutti i suoi risparmi per comprare un biglietto aereo dall’Egitto per la Georgia con scalo a Roma. La sua meta, infatti, era proprio l’Italia. E’ arrivato nella capitale il 3 agosto 2013 e insieme ad altri passeggeri, tra cui donne e bambini, ha chiesto asilo politico. Avrebbero dovuto essere accolti in un centro di prima accoglienza in attesa di essere identificati e portati in un Cara, centro accoglienza richiedenti asilo. Invece sono stati chiusi per giorni nella sala d’attesa dell’aeroporto Leonardo Da Vinci per poi finire a vivere alla stazione Termini di Roma.
“E’ da tempo che va avanti questa situazione”, afferma Valentina Itri, dello sportello immigrazione dell’Arci. “Da agosto 2013 sono più di 30 i migranti che si sono rivolti a noi. Da qualche mese, Alitalia ha sospeso il volo Egitto-Georgia con scalo a Roma perché tutti i passeggeri si fermavano nella Capitale. La maggior parte di loro è di nazionalità egiziana, ma ci sono anche siriani. Dovrebbero essere accolti nei centri di prima accoglienza. In realtà vengono parcheggiati in aeroporto. Si lavano nei bagni pubblici”, denuncia Itri. Come si vede dal video girato da un migrante, molti di loro dormono per terra. “Dopo sette giorni, la polizia li lascia andare: le strutture sono al collasso e non c’è posto per loro. Uomini, donne e bambini vengono di fatto privati di qualsiasi forma di assistenza”.
“Alcuni ragazzi”, continua Itri, “ci hanno raccontato di essere stati picchiati dalla polizia di frontiera. Uno di loro ha avuto dei danni a un occhio. Loro rappresentano un problema per le forze dell’ordine, dovrebbero ripartire ma decidono di restare in Italia. Nessuno ha mai denunciato: hanno paura. Molti di loro hanno già subito violenze nel Paese d’origine, sono traumatizzati. Poi, temono di non ottenere i documenti. Attualmente stiamo seguendo 4 ragazzi che vivono per strada e aspettano un posto in un Cara. Poco tempo fa abbiamo sistemato una famiglia con tre minori che dormiva alla stazione Termini”.
L’associazione Badia Grande è l’ente di tutela dei richiedenti asilo dello scalo romano che però può agire solo dopo la segnalazione del migrante in prefettura. “Non c’è un servizio di formazione e orientamento alla frontiera e non tutti sanno che per restare in Italia hanno diritto a chiedere asilo al nostro Paese”.
Ai migranti viene fatta firmare una dichiarazione in cui affermano di avere parenti e amici in Italia che possono ospitarli, rinunciando in questo modo ad entrare nel sistema d’accoglienza. “Questi fogli non vengono tradotti nella lingua madre del richiedente asilo. Loro dichiarano di avere amicizie nel nostro Paese, ma questo non significa che non necessitano di un servizio di assistenza. E’ così che finiscono a dormire in stazione”.
L’Italia avrebbe il dovere di accoglierli, invece di loro si perde ogni traccia. Non hanno un domicilio, così la Prefettura non può consegnarli l’avviso di convocazione davanti alla Commissione competente che decide se concedere lo status di rifugiato. La loro domanda decade e diventano clandestini.
Anche Ekman,18 anni, è passato per l’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma (Fiumicino). Tre anni fa è partito dall’Afghanistan e non immaginava di finire a vivere nello Sprar di Fara Sabina, in provincia di Rieti. Lui voleva andare in Norvegia. Ha speso 13.000 euro, tutti i risparmi dei suoi genitori per arrivarci. Prima, però era dovuto passare per l’Italia: sbarcato a Brindisi, la polizia gli aveva preso le impronte digitali. Per la Convenzione di Dublino, il richiedente asilo deve chiedere protezione nel primo Paese dove arriva.
Per questo, una volta giunto in Norvegia, è stato rimandato indietro. “Mi hanno detto: scegli o l’Italia o l’Afghanistan, così mi hanno accompagnato in aereo fino a Fiumicino. Lì sono stato quattro giorni in una sala d’aspetto, dormendo su una sedia davanti ai bagni, mi coprivo con una coperta sporca. Poi mi hanno portano nel centro per minori di Passo Scuro. Adesso sono entrato nel sistema di protezione”.
“Se guardo al futuro, lo immagino brutto, è da tre anni che sto fuori casa, non lavoro. Tutti mi dicono sempre che piano piano le cose miglioreranno, che devo aspettare ma fino a quando? Ancora non ho i documenti. Quando sento mio padre, gli dico: ‘per favore lascia che io prenda il permesso di soggiorno’. Lo sai cosa mi risponde? ‘Figlio mio, smettila di pensare ai documenti e trova un lavoro’. Sono io il più grande della famiglia, poi ho due fratelli più piccoli. Il mio papà non lavora. Sono stato rapito in Iran e ho dovuto pagare 1000 euro per la mia liberazione, in Grecia sono stato in carcere per tre mesi e 15 giorni, dormivo in una stanza con 20 persone. Ma ora non sto meglio. Adesso vivrò sei mesi nello Sprar e poi dove andrò? Se non trovo lavoro dove dormirò? Questa è la vita in Italia”.