Mercati legali in Cina: un paradiso “parallelo” a portata di viaggiatore

shangai

“Parto per lavoro, ma succede sempre che qualcuno mi chieda di portargli qualcosa dalla Cina. E quasi sempre sono le donne della mia vita: moglie, madre, suocera, che chiedono una borsa”.

Marco è un giovane imprenditore, lavora nel mondo dell’informatica e ogni sei mesi viaggia per conto dell’azienda. Shangai, Canton, Pechino, ha girato la Cina per lavoro e ha sempre approfittato dei momenti liberi per fare shopping.

A Shangai, ad esempio, nella zona di Pudong e a poche fermate di metrò dalla famosa zona del Bund, c’è un centro commerciale sotterraneo grande almeno 15.000 metri quadrati, che accoglie anche 500 negozi non più grandi di 25 metri quadrati. Un labirinto di corridoi e incroci in cui è facile perdersi, tra le file ordinate di merce esposta. Vendono di tutto, dagli Iphone alle mazze da golf, dagli orologi alle borse, passando per felpe, valigie, soprammobili e stampe. Tutto di marca, in un  posto del tutto legale dove, anzi, c’è la polizia che vieta di fare le foto.

La domanda che viene immediatamente in mente è: ma saranno merci originali? “Ho una mia opinione, basata su anni di acquisti e confronti – racconta Marco – credo che non tutto sia copiato ma che molti prodotti siano originali, prodotti dalle aziende lì in Cina che sono a servizio dei grandi marchi”.

Una Cina che cresce a dismisura e che accoglie centinaia di siti produttivi per soddisfare la domanda, sia interna che estera, e in cui è difficile controllare che parte della merce non arrivi su mercati paralleli. “Credo sia un po’ come in Brianza 50 anni fa, quando gli artigiani del legno che lavoravano per grandi marchi di mobili non perdevano occasione di vendere a loro clienti lo stesso modello ma senza firma. Ovviamente tutto con le dovute proporzioni”.

Jeans Levis e Diesel a 15 euro e non a 100, come in Italia. Borse e vestiti Moncler, Louis Vuitton o Dolce e Gabbana a massimo 30 euro, sia originali che copie scadenti (“qui basta stare attenti” specifica Marco). Scarpe Tiger a 20 euro “evidentemente originali e più belle delle stesse che ho comprato in Italia a 80 euro”. Un paio di Geox a 20 euro: “durate ben 3 stagioni e identiche a un paio che ho comprato in Italia a 120 euro”.
E poi trolley, giocattoli, orologi Rolex e Citizen. Ma soprattutto elettronica: “Ho comprato sei casse bluetooth di marca, quelle che si trovano su internet per amplificare la musica dal telefonino o dal computer. Le ho pagate 7 euro invece di 50 e sono perfette”.

La parte più divertente di questo shopping parallelo è la contrattazione: “Un giorno prendo due borse, una Prada e una Gucci – racconta Marco – due modelli nuovi e, a detta dei commercianti, ‘best quality material’. Morale: primo prezzo, 800 euro. Prezzo finale, 40 euro. Loro partono come se stessero per venderti il prodotto ‘vero’ acquistato in Montenapoleone. Io, dopo anni di ‘esperienza’ taglio corto la trattativa. Poi ti dicono di no. Esci dal negozio e ti seguono per dirti che va bene il prezzo che hai detto. Tuttavia ho visto europei o americani pagare le borsette anche 200 euro o i jeans 100 euro”.

Un luogo surreale per le leggi italiane. In Cina ce ne sono tantissimi altri.“E’ difficile descrivere questi posti: bisognerebbe vederli per capire” conclude Marco. E si dice che a Shangai ce ne sia uno che occupa un intero palazzo, in cui più sali, più aumenta la qualità dei prodotti. E anche il loro prezzo.