Almeno mille falsi profili facebook. Per ogni profilo un giro d’affari che nel migliore dei casi frutta 2.500 euro al mese. Nel peggiore 1000 euro.

In un mese, secondo chi racconta la sua esperienza dall’interno, il giro economico totale in Italia può quindi arrivare anche a due milioni di euro. Sono i numeri della contraffazione su facebook. Numeri ipotetici, perchè nessuno ha mai fatto un’analisi sulla punta di quest’iceberg informatico e reale. Forse nessuno se n’è accorto.

Fare i conti sulla contraffazione è già difficile nei contesti reali (sono stati stimati movimenti pari a 6 miliardi di euro all’anno e solo nel campo della criminalità organizzata) a causa della natura “sommersa” del fenomeno. Fare i conti sui siti web, un’impresa impossibile per la volatilità delle piattaforme web. Intercettare corrieri e spedizionieri richiederebbe un dispiego di forze che Italia e Unione Europea non possono permettersi.

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Così il fenomeno della vendita di merce contraffatta sui social network è in crescita e senza controllo. Una start up illegale e semplice per i giovani che non trovano lavoro e per le casalinghe che non arrivano a fine mese.

Sono i social-sellerdei falsi. Nessuno si è ancora accorto della loro esistenza. Vendo Sogni, Griffe Mania, Giada imitazioni Stock: dietro questi falsi profili c’è una casalinga, una studentessa, una giovane, o un giovane. Usano facebook  per vendere borse, vestiti e scarpe contraffatti. Creano profili con nomi inventati a cui si può accedere solo tramite richiesta di amicizia (il regolamento di facebook, invece, prevede che per scopi commerciali siano usate le “Pagine”), filtrano le richieste, rifiutano quelle sospette e accettano quelle di potenziali clienti. In questi spazi virtuali, creano un mondo parallelo.

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Gucci, Louis Vuitton, Prada, Fendi, Hogan, Miu Miu “taroccati”. Per una borsa, il prezzo varia dai 30 ai 300 euro.  Gli album fotografici, organizzati tematicamente, sono vetrine in cui espongono la loro merce. C’è la descrizione del materiale, del marchio, il prezzo,  le foto in modalità “macro” per mostrare il più piccolo dettaglio.

Non indicando il prezzo si cerca di camuffare l’intento di vendita. I “social-seller” dei fake chiedono di essere contattati in privato. In chat forniscono tutte le spiegazioni al riparo da sguardi indiscreti. Nei messaggi privati realizzano accordi e trattative, cade l’anonimato e si scopre tutto di chi vende. Nome, cognome, provenienza e metodo. Si costruisce un legame d’interesse che sfocia in nomignoli affettuosi come “cara, tesoro, amore”.

Tutto pur di vendere, ma non solo. I “social-seller” amano lavorare in questo campo, conoscono tutto di marchi e modelli, sono attenti alle ultime novità in fatto di moda, seguono le sfilate e le conoscono a memoria le nuove collezioni delle grandi firme. Creano outfit e si improvvisano consulenti di bellezza. I clienti si fidano di loro e del loro giudizio, comprano confortati dai feedback che le venditrici conservano nei loro album.

“La borsa è arrivata in ottime condizioni: è perfetta! E la venditrice è affidabile e veloce. Comprerò ancora da lei e la consiglio a tutti. Le sue imitazioni sono uguali agli originali” scrive Giulia in un commento a margine della foto di un’Alma di Louis Vuitton.

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Ma dove comprano la merce i “social-seller”? Esistono due metodi di rifornimento: in strada e su internet. Nel primo caso, è importante trovare una piazza di spaccio e qualche fornitore privato. Nel secondo è importante rintracciare i siti più convenienti, destreggiarsi tra le descrizioni in cinese, avere pazienza e decodificare spiegazioni spesso criptate.

“Una volta a settimana – racconta Raffaella che da 5 anni vende su facebook – vado a Napoli, al mercato della Maddalena, e compro quello che le mie clienti hanno ordinato. Ho 4.315 amicizie e sono tutte legate al commercio. Ricevo almeno ottanta ordini a settimana e per trasportare tutto a casa devo farmi accompagnare dagli amici e portare due trolley enormi”.

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La Maddalena è un rione di Napoli. Si trova alle spalle della statua di Garibaldi, di fronte alla stazione. Ogni giorno, dalle 8 alle 14, si trasforma in un mercato di merce contraffatta con centinaia di bancarelle. I venditori ambulanti pagano il loro prezzo alla camorra per vendere la merce che gli stessi clan forniscono, proveniente dai laboratori di contraffazione napoletani o dalle importazioni asiatiche.

Gli ambulanti conoscono bene il commercio nel mondo virtuale. “Spesso – racconta Amoda – mando le foto dei prodotti tramite Whatsapp alle ragazze che vendono su internet, così non sono costrette a venire fino a qua. E poi fanno bene a vendere su facebook, lì non ci sono gli stessi controlli che su Ebay ed è pure gratis. Sto pensando di farlo anche io”.

Arturo, invece, ordina tutto sul web. Senza uscire di casa, aspetta che il corriere gli consegni i pacchi. “Ordino sui siti perché la merce che arriva dalla Cina è di qualità superiore a quella che trovi in strada, soprattutto per quanto riguarda il “contorno”. Le borse hanno le buste intestate, la ricevuta di garanzia, la dust bag. Insomma, sembrano appena uscite da un negozio di via Montenapoleone”.

L’unico limite di questo commercio “virtuale” è il rischio. Spesso per un ordine si aspettano anche settimane, i pacchi vengono  bloccati alle dogane o arrivano difettosi. Anche il reso è complicato e ha tempi lunghissimi.

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Arturo non si fa pagare in anticipo. Compra quello che gli piace, crea una sorta di mini- negozio in casa e accoglie di persona i clienti di fiducia che scelgono anche regali di laurea e di compleanno. Vende quello che resta tramite facebook. C’è un maggior rischio di perdere i soldi, ma per Arturo è normale, “gioco alle stesse regole di chi ha un vero negozio.