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IN FUGA
DA CASA
Dal 1978, la convivenza, mai amorosa, sull’isola di Ceylon
tra cingalesi e tamil è sfociata in guerra civile, costringendo
alla fuga da casa migliaia di tamil. Ancora oggi l’esercito
incendia le case mentre il governo, in mano alla maggioranza cingalese,
comincia a concedere qualche diritto alle poche migliaia di tamil
rimasti nel nord est. Nel tentativo di ottenere l’indipendenza,
i combattenti delle tigri tamil mettono a ferro e fuoco il paese.
I 60 mila connazionali fuggiti ai quattro angoli del pianeta foraggiano
la loro lotta.
Sono gli inglesi a volere i tamil in Ceylon. Nell’800 c’è
bisogno di contadini nelle piantagioni di caffè e di tè.
Ma le origini del conflitto interetnico risalgono molto più
indietro nel tempo: cingalesi (buddisti) e tamil (induisti) si
sono contesi la “perla dell’oceano Indiano”
per secoli, prima che l’isola venisse colonizzata prima
da portoghesi e olandesi, poi infine dagli inglesi. Questi concedono
l’indipendenza al paese nel ’48.
Da lì iniziano le vessazioni contro i tamil. “Ancora
oggi, se noi vogliamo frequentare la scuola o – spiega il
capo della comunità palermitana, il signor Metha - lavorare
nella pubblica amministrazione, dobbiamo imparare la loro lingua,
l’unica riconosciuta. Il buddismo è l’unica
religione ufficiale”. Il conflitto esplode negli anni ’70,
assieme alla contestazione marxista guidata dal gruppo terrorista
del Fronte di liberazione popolare.
Nel ’76 prende piede il movimento armato del Ltte (Liberation
Tigers of Tamil Eelam). “Sono combattenti – è
Jenny, la nipote di Metha, a parlare – sono martiri della
patria. Tutti i tamil sparsi nel mondo sostengono la loro lotta”.
E mostra con orgoglio un quadro appeso alla parete: un giovane
baffuto, sguardo concentrato, fucile in mano pronto a sparare.
“Non ci dimentichiamo le nostre origini, anzi – va
avanti - ne siamo fieri. Un giorno torneremo a casa nostra”,
perché “lo Sri Lanka è un’isola bellissima,
piena di fiori e di verde”: Jenny, che è andata via
che aveva quattro anni, la ricorda nei colori vividi dei dipinti
dei bambini.
L’episodio che fa esplodere la polveriera è il pogrom
di 600 tamil come punizione per l’uccisione di 13 soldati
cingalesi. Il governo intraprende una vera e propria pulizia etnica:
65 mila tamil abbandonano il paese, intanto ribattezzato Sri Lanka
in nome della tradizione nazionalista cingalese. La guerriglia
risponde con numerosi attentati, anche suicidi, che seminano il
terrore nella capitale Colombo.
“Nel paese c’è una vera e propria dittatura.
La presidente attuale, Chandrika Kumaratunga – va avanti
il capo dei tamil - è l’oppositrice più dura
della pacificazione”. Dal 2000 la Norvegia è intervenuta
a fare da paciere, ma la situazione sembra non sbloccarsi. “I
cingalesi –continua Metha - non hanno alcuna intenzione
di lasciare le case che hanno tolto ai tamil, costringendoli ad
abitare nei campi profughi. La presidente li sostiene”.
Il risultato: 64 mila morti e almeno un milione di sfollati, molti
i bambini arruolati da milizie senza scrupolo. |