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IL PRIMO
MIRACOLO
Thaksagini si arrampica a piedi fino al monte con la sorella
maggiore, Jenny. Ha 19 anni, è una ragazza carina, studia
musica. Mentre sale fino al santuario, potrebbe confondersi col
resto della folla, ma non è uguale a tutti gli altri. A
lei, 14 anni fa, santa Rosalia ha concesso il primo miracolo,
è stata lei, quattordici anni fa, a scoprire la Santuzza
e a farla dea.
Nel ’90, la piccola ha quattro anni e segue la mamma al
lavoro. Saroja assiste un signore palermitano a casa sua. Le sue
due figlie lo chiamano “nonno”, passano molte ore
a giocare nella grande casa. Nel palazzo, Thaksagini ha visto
fare agli altri bambini un gioco divertente: ci si mette a cavalluccio
sul corrimano delle scale e ci si lascia scivolare fin giù.
A Saroja quel gioco non piace ma la bambina spera di potere prima
o poi salire su quello scivolo proibito.
E l’occasione arriva. È quasi ora di pranzo, la
mamma chiede alla figlia maggiore di andare a comprare il pane.
Jenny infila il cappotto e parte. Ma la mamma la richiama: ha
dimenticato di dirle un’altra cosa. La bambina torna indietro
ma la porta resta socchiusa. Thaksagini si prepara a scivolare
sul corrimano delle scale. Ma Jenny esce troppo presto sbattendo
la porta dietro di sé, Thaksagini si spaventa e perde l’equilibrio.
È un attimo: Jenny vede la sorella cadere giù.
La bimba si aggrappa a un gradino. “Cercavo di urlare –
racconta Jenny - e chiamare aiuto, ma la voce non mi usciva dalla
gola”. Tentava di tirarla su ma le mani erano troppo sudate.
“È caduta dalle mie braccia”. E quando Thaksagini
cade giù, Jenny si convince di riuscire ancora a salvarla.
“Se corro veloce, mi ripetevo, posso arrivare a prenderla
in braccio”. Dal secondo piano, Thaksagini precipita al
suolo battendo la testa.
La corsa all’ospedale, le lacrime. Poi i dottori scuotono
la testa e spiegano che il coma è profondo, solo un miracolo
potrebbe salvare la bambina.
Agli inizi degli anni ’80, i Thavarjhasingam sono stati
tra i primi ad arrivare in Sicilia. I proprietari del ristorante
dove lavorava il capofamiglia gli hanno raccontato della santa
sulla montagna e lo hanno portato con loro. Da subito agli esuli
quel posto è sembrato familiare e sono diventati ospiti
abituali della chiesetta di roccia e della sua signora. Quando
a Thaksagini capita l’incidente, sanno a chi chiedere aiuto.
Ogni giorno Saroja e suo marito si dividono tra il santuario e
l’ospedale, l’ospedale e il santuario. “Santa
Rosalia pensaci tu”. L’invocazione che migliaia di
palermitani hanno ruminato nei secoli, loro la ripetono cento
volte al giorno. Ma la bambina continua a dormire. In quei giorni
i tamil si stringono attorno alla famiglia. “Cento, duecento
persone – Jenny sgrana gli occhi - che neanche conoscevamo,
venivano ogni giorno all’ospedale Civico a chiedere come
stava mia sorella”. La notizia si sparge nella comunità:
la prima bimba tamil nata in città non può morire.
Ceri, preghiere, anche gli altri iniziano a fare la spola tra
l’ospedale e il monte.
Ma la bambina non si sveglia. Dopo 28 giorni, i medici sono pronti
a staccare le macchine. I genitori, pronti a vedersi restituito
un corpo morto, vengono chiamati all’improvviso. “Presto,
la bambina si è svegliata!”. Santa Rosalia ha fatto
la grazia. “Non una grazia – Jenny non ha dubbi -
ma un vero miracolo”. Da allora, sono nate altre due figlie.
Ma nella casa e nel cuore dei Thavarjhasingam, e dei tamil di
Palermo, c’è posto anche per Rosalia, la vergine
cattolica che è diventata dea.
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