Alla scoperta del Grande Fratello

L'ammissione di un alto funzionario dei servizi australiani alla Bbc

E' ufficioso, no ufficiale: Echelon esiste

La prova in un documento della National Security Agency


Fulminanti scoop giornalistici, libri-verità, rivelazioni indiscrete, accorate testimonianze di 007 in pensione, campagne ben orchestrate da agguerriti militanti della privacy, prese di posizione dei governi: c’è di tutto nel caso Echelon, tutto contribuisce a tenere alta la soglia di attenzione, ma tutto resta un indizio. Stringente, convincente, ma solo un indizio. Mancano le prove ufficiali. Che arriveranno solo quando Echelon sarà ormai diventato un nome familiare.

Non è ufficiale neppure la conferma che viene, a novembre ’99, dalla Bbc, il colosso radiotelevisivo britannico. Il servizio di Andrew Bomford parte da lontano: "Nella brughiera dello Yorkshire si possono vedere trenta enormi palloni, ma solo a miglia di distanza, perché sono avvolti dalla più totale segretezza". Sono i giganteschi radar della base di Menwith Hill, cuore strategico di Echelon in Europa, da cui rimbalzano tutti i messaggi diretti al quartier generale della Nsa a Fort Meade: base che consente alla Nsa di infilarsi all’interno della rete della British Telecom e che negli ultimi anni è stata addirittura potenziata con la costruzione di altre cinque antenne. Dalla prova indiziaria nascosta nella brughiera dello Yorkshire, Bomford passa alla prova definitiva dell’esistenza di Echelon: l’intervista con l’ispettore generale dei servizi segreti australiani, Bill Blick, che ammette: sì, il Defence Signals Directorate fa parte della rete. "C’è una gran quantità di comunicazioni radio nell’atmosfera - dice - e le agenzie di intelligence raccolgono questi dati nell’interesse della propria sicurezza nazionale". Alla domanda, cruciale, se l’Australia, passi le informazioni in suo possesso anche ai servizi americani e britannici, Blick risponde: "In certe circostanze, sì".

L’intervista di Blick, che pure fa il giro del mondo, si infrange contro il muro di silenzio eretto dai due partner principali del patto Ukusa, Stati Uniti e Gran Bretagna, che continuano ostinatamente a non confermare né smentire. Nonostante le crepe aperte sul fronte orientale dell’alleanza. Prima di Blick, già a marzo, un altro funzionario del Dsd australiano, il direttore Martin Brady, aveva ammesso, in una lettera indirizzata al reporter del Sunday Nine, Ross Coulthart, che la sua agenzia faceva parte del network segreto di sorveglianza globale. E a dicembre i servizi di sicurezza neozelandesi ammettono, nel rapporto di fine anno al governo, che le basi di Waihopai, a sud del paese, e di Tangimoana, a nord, sono "accessibili alle intelligence dei paesi alleati della Nuova Zelanda".

Insomma, Echelon esiste, chi ne fa parte lo ammette, ma finché non si trova un atto ufficiale, un documento scritto, la ricerca della prova definitiva è destinata a rimanere, commenta la rivista radical americana Wired, "una sorta di Santo Graal di militanti della privacy, giornalisti e hacker di tutto il mondo". Per ironia della sorte, tocca a un Parsifal statunitense dare il crisma di ufficialità a quella che a lungo si è potuta liquidare come un’invenzione dei soliti cultori delle "teorie del complotto": spulciando alcuni documenti della Nsa recentemente desecretati grazie al Freedom of Information Act, Jeffrey Richelson, ricercatore del National Security Archive, associazione non governativa nata alla George Washington University, è finalmente incappato nella parola tabù: "I fogli forniscono una conferma di fonte governativa al programma Echelon", ha dichiarato. Aggiungendo, però che "l’esito della ricerca suggerisce che si tratta di un progetto molto più limitato di quanto si era ipotizzato" e dicendo anche di nutrire forti dubbi "sulla circostanza che la Nsa abbia oltrepassato i propri confini legali".

Uno dei documenti esaminati da Richelson, e ripreso poi nel rapporto di Duncan Campbell al Parlamento europeo, è datato 3 settembre 1991 e rivela l’esistenza di un centro di sorveglianza elettronica nella base navale di Sugar Grove, in West Virginia, installazione creata in seguito al patto Ukusa per lo scambio di informazioni tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Secondo quanto scoperto da Richelson, però, il patto avrebbe previsto fin dall’inizio rigide limitazioni nell’uso dei dati raccolti: "Il documento specifica che una delle responsabilità del comandante della sede di Sugar Grove era quella di assicurarsi che la privacy dei cittadini americani fosse adeguatamente salvaguardata".

La scoperta di Richelson apre sicuramente una nuova pagina nella saga Echelon: alla luce della prova ufficiale anche quelli che a lungo sono stati semplici indizi assumono tutt’altra rilevanza. Allo stesso tempo, però, i documenti della Nsa (Campbell ne cita anche un altro del 15 giugno 1995, che parla del progetto Echelon anche in riferimento all’attività di alcune basi dell’aviazione militare americana) non chiariscono cosa sia effettivamente successo e, a detta di molti, continui a succedere. Se, infatti, Michael Jobs, vice-direttore dei sistemi informativi alla Nsa, reagisce sdegnosamente all’illazione che l’agenzia potesse aver spiato i cittadini statunitensi ("Il nostro regolamento lo vieta espressamente e abbiamo sempre preso queste restrizioni molto sul serio"), c’è anche chi assicura che tanto rispettoso della privacy e delle leggi Echelon, in fondo, non lo è stato. Riprendendo in un’intervista alla rete americana Cbs il contenuto di alcune rivelazioni fatte già due anni fa al settimanale italiano Il Mondo, Mike Frost, veterano in pensione del Canadian Security Establishment, ha confermato che i paesi aderenti al patto Ukusa possono aggirare le leggi nazionali sulla privacy chiedendo agli alleati di spiare i propri cittadini. E ha citato proprio l’esempio dei servizi canadesi che intercettarono le telefonate di due ministri britannici per conto del Gchq: "La Thatcher temeva che stessero tramando contro di lei. Il Gchq ci diede le frequenze dei telefoni installati nelle auto dei due ministri e ci chiese di registrare tutte le telefonate. Il parlamento britannico può negare tutto. Loro non hanno fatto nulla. L’abbiamo fatto noi per loro". Sempre alla Cbs Margareth Newsham, ex dipendente alla stazione di ascolto di Menwith Hill, in Inghilterra, ha assicurato che neppure i politici americani sono al riparo dall’orecchio indiscreto di Echelon: vent’anni fa fu proprio lei a registrare la voce di un senatore repubblicano della Carolina del Sud, Storm Thurmond: "Ero sconvolta, mi aspettavo che le voci intercettate fossero in cinese o in russo".

Appurata, dunque, la controversa esistenza di Echelon, si moltiplicano le rivelazioni dei "pentiti" e si allunga la lista dei nomi di chi è caduto nelle maglie della rete di spionaggio digitale. Che, secondo quanto scrive Campbell in un articolo sul Sunday Times, avrebbe tenuto d’occhio perfino il Papa, Madre Teresa di Calcutta, Lady Diana e organizzazioni umanitarie e pacifiste, come Amnesty International, Christian Aid e Greenpeace. Motivo: si trattava di soggetti impegnati in attività di solidarietà e beneficenza e, per questo, in contatto con regimi considerati nemici o comunque "controversi" dal punto di vista politico-diplomatico. Per dirla con Wayne Madsen, altro loquace pentito dopo vent’anni di onorata carriera alle dipendenze dei servizi americani: "Chiunque sia politicamente attivo prima o poi finisce sugli schermi radar della Nsa".