"Cosa ha di più Vespa? E' l'archetipo"
Galleria Fotografica
 
La Storia in Tappe
 
Lunapop e 50 Special
 
Abbigliamento Vespa
 
Vespa e Bologna
 
Link
 
 
Ascolta Bollicine
di Vasco Rossi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

"Non ho la patente, non solo, ma non ho e non so guidare una Vespa. Per rimediare a questa pecca posso dire che vivo come un vespista: vado in giro libero nel vento". Sono parole di Gilberto Filippetti, il creativo che per anni ha guidato l’agenzia pubblicitaria "Leader" di Firenze e che ha studiato tutte le campagne Vespa dal ’68 all’’83. E’, per intendersi, colui che ha lanciato il fortunato spot "Chi "vespa" mangia le mele (chi non "vespa" no)". Come gli sia venuta l’idea è raccontato per filo e per segno nel libro uscito per il cinquantenario di Vespa "The Cult of Vespa", Filippetti ha mosso i primi passi nel mondo pubblicitario abbastanza giovane, il sogno nel cassetto era il cinema, ma appena gli si è presentata l’occasione ha cominciato a lavorare. Nativo di Jesi, un paesino marchigiano, non rivela la propria età: "Diciamo che la mia barba non è ancora bianca"; del proprio lavoro ama il fatto di essere costretto a restare al passo coi tempi, anzi possibilmente in anticipo sui tempi. Come ogni creativo è un po’ bizzarro, non porta l’orologio e dice che ciò che lo muove è il cercare l’inedito, il trovare spazi non vissuti. Due anni fa ha tenuto un seminario sulla creatività pubblicitaria all’Università di Siena, l’ultima campagna studiata per Vespa è quella cosiddetta dello schiaffo, poi sono cambiati i vertici e da quel momento, dice, le campagne hanno perso il segno distintivo della campagna d’autore.

La Vespa, anche grazie a lei, è ormai un mito, un simbolo. Crede che i teenagers di oggi subiscano ancora il fascino Vespa?

Eh'! Lo vorrebbero sapere anche in Piaggio! Certo la Vespa ha un background di desiderio, ma le moto giapponesi sono grintose, hanno una linea filante che è quella che va ora. Il problema è dare alla Vespa una linea del 2000 senza snaturarla. Per 14 anni le campagne pubblicitarie sono state create seguendo i cambiamenti della società. Ecco l’origine di tutti gli spot da "Chi vespa mangia le mele" in avanti. Quando i giovani sono cambiati ed è finito il tempo dei grandi ideali, ecco che è nato lo slogan "Vespa muove la voglia di fare".

Quindi cavalcare la rivoluzione giovanile è stata una scelta di comodo?

Non esattamente. Certo faceva anche comodo all’azienda che deve stare al passo se vuole vendere ma, per quanto mi riguarda è stata anche una scelta partecipata, ero giovane anch’io e mi sentivo coinvolto. Di sicuro non era il caso di osteggiarli. Le campagne si innestano però sempre sui problemi reali, basta guardare il caso Oliviero Toscani. Devo dire che la campagna del 1968 è stata di un tempismo incredibile. E’ stato soprattutto Giovannino Agnelli ad insistere perché la Piaggio si riavvicinasse ai giovani, è un’etica anche questa.

Nelle campagne successive a "Chi vespa mangia le mele" avete puntato molto sull’idea che Vespa è in armonia con il mondo e con l’ambiente. Non è del tutto vero ma ha funzionato ugualmente.

Ora non è vero, i problemi ambientali però sono nati dopo. A quel tempo era vero che con Vespa respiravi aria pura. Non c’era il traffico che c’è ora. Anche in quel caso la campagna è stata fortemente in anticipo.

La campagna delle "Sardomobili" è ancora attuale, potrebbe essere riproposta?

Potrebbe, si, ma è rischioso, sarebbe come dire che Piaggio non ha più niente da dire. Noi abbiamo posto il problema dell’automobile, del fatto che si resta chiusi come in una scatola di sardine, imbottigliati nel traffico, molto tempo prima che tutti gli altri se ne accorgessero.

Ma che cosa ha Vespa che gli altri scooter non hanno?

Vespa è l’archetipo degli altri mezzi su due ruote. Ha la storia dalla sua, un po’ come i Rayban per gli occhiali che proteggono dai raggi ultravioletti o la Coca Cola. Sono veramente pochi i prodotti che possono vantare una storia.

Pagine a cura
di Barbara Righini
Credits