Costruito con i soldi della Regione, i retroscena dello stabilmento mai aperto
Apas, una spremuta di miliardi

'impresa possibile'

Il centro Apas, prima annunciato e vagheggiato come “la speranza dell’economia avolese”, oggi regno di vandali e drogati. Passando per scandali, reputazioni infangate, delusione dei coltivatori diretti. Apas: ormai un nome scomodo, un ricordo che molti rimuovono, una storia che non è conveniente raccontare.

Ma qualcuno parla, qualcuno anzi sfoga risentimento e rabbia. “L’Apas non è mai entrata in funzione. Una delle tante cooperative che si sono 'mangiati' i soldi della Regione”. Dice così Giuseppe Caruso, presidente dell’Agricoop di Avola, spesso consultato anche dall’amministrazione comunale: un’autorità nella zona quando si parla di limoni e limoneti. Nel paese, come in altri centri deln siracusano, i braccianti sono tanti, 1.800 su una popolazione di circa trentamila abitanti. La sera la piazza principale brulica di persone in cerca di ingaggio per i giorni a venire. Dei tanti piccoli e grandi coltivatori diretti, pochissimi riescono a sopravvivere dei soli frutti della campagna. “Il 90% nun ci campa che i limiuna”, "il 90% non ci vive con i limoni", spiega Caruso.

L’Apas, nato come centro di lavorazione degli agrumi, doveva essere un’ancora di salvataggio per un’economia che andava lentamente a fondo. Per un sistema che i limoni nella maggior parte dei casi li mandava al macero al fine di non sovraccaricare l’offerta e far scendere troppo il prezzo. “Il centro - racconta Caruso - venne solo inaugurato, mi ricordo ancora quel giorno, erano venuti pure da Catania. Ma non funzionò mai”.

Attorno al signor Caruso, mentre un ragazzo scarica in un camion centinaia e centinaia di frutti gialli e succosi, altri coltivatori diretti, altri soci della cooperativa. Hanno i volti abbronzati, nonostante è inverno, sono curiosi e guardinghi insieme. C’è chi vive, o sopravvive, dei soli limoni, c’è chi ha altre attività (e sono i più), c’è chi ha qualche ettaro di terreno e chi decine. Ci sono giovani e meno giovani, generazioni differenti. Ma il coro è unanime, la rabbia è uguale, così l’orgoglio negli occhi di questi lavoratori che un tempo con la loro terra riuscivano a vivere.

“La storia dell’Apas - aggiunge Caruso - non è storia nuova. Sono nate tante cooperative del genere, soprattutto negli anni ‘70. Erano cooperative fasulle, pigliavano contributi, poi fallivano. Servendosi di prestanome”.

Altra scena, altro luogo. Alla Coldiretti del paese c’è il presidente Giuseppe Tiralongo a raccontare dell’Apas. La storia di un fallimento. “L’Apas è stata voluta dalla Coldiretti di Catania, di cui era presidente l’avolese Sebastiano Inturri, e dalla Unione agricoltori etnea. Oltre al capannone di Avola, costruito con i soldi della Regione, avevano creato strutture del genere anche nel catanese. Poi i membri della Coldiretti vennero incriminati per le vicende degli altri centri. La storia era sempre uguale: l’associazione nasceva per prendersi i soldi della Regione, gli stabilimenti venivano costruiti, ma non entravano mai in funzione. I responsabili, come Inturri, finirono in prigione. E il capannone di Avola andò in rovina”.

“Inturri - racconta ancora Tiralongo - diceva che quando l’Apas sarebbe entrata in funzione, gli avolesi gli avrebbero dovuto fare due statue: una all’ingresso e una all’uscita del paese”. La statua a Inturri non l’hanno fatta, anzi. Ma Inturri era il classico prestanome di questa classica storia di cooperative fantasma. E dietro di lui? Caruso, Tiralongo, i coltivatori diretti, i “campagnoli” , Enzo Morale, ex commerciante di agrumi, tutti fanno lo stesso nome: l'ex onorevole Dc Salvatore Urso.

Limoneti
Piazza di Avola
Caruso al lavoro
Impiegati al lavoro
Il cartello
Il centro Apas
Una finestra rotta
Gli interni dell'Apas