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La
confraternita
Uomini “onesti”
di ogni ceto, religiosi ma anche laici: ecco il requisito essenziale per
essere ammessi nella Confraternita della Buona Morte, fondata dal sacerdote
durantino Giulio Timotei. Una delle otto confraternite che contribuivano
al buon governo di Urbania, come la Compagnia della Misericordia e la
Confraternita del Buon Gesù.
11 giugno 1567: prima riunione dei confratelli, dodici come gli apostoli.
San Giovanni decollato è il loro patrono. Lo stesso giorno è
anche occasione per promulgare lo statuto, che il cardinale Giulio Feltrio
Della Rovere (fratello del duca Guidobaldo II) sanziona l’11 aprile
1571.
Così comincia la vita della Confraternita. I fratelli trasportano
gratuitamente i cadaveri, assistono moribondi e condannati a morte, visitano
ogni settimana ammalati e carcerati e distribuiscono elemosine ai poveri.
Un’opera sociale importante, non menzionata negli statuti ma documentata
da atti ufficiali d’archivio, è la distribuzione del seme
di grano ai contadini rimasti senza riserve.
Ma è l’organizzazione dei funerali l’attività
che li consacra alla storia. Funerali carichi di suggestione per noi che
ne leggiamo i dettagli oggi, dopo più di due secoli, su documenti
dell’epoca.
Immaginiamo la folla riunita in chiesa per dare l’ultimo saluto
a un concittadino. Il corpo arriva in una sorta di processione, trasportato
dai confratelli. Lo adagiavano su una “scaletta”, una tavola
di legno. E il corpo, avvolto in un sudario, arriva coperto da teli neri
con simboli della morte.
I confratelli indossavano il rocchetto, la veste ecclesiastica di lino
bianco, sormontato da un mantello nero su cui spiccava una placca di rame
argentato sbalzata con il teschio e le tibie incrociate. Prima di uscire
si calavano il cappuccio sul volto. Un modo di vestire che valse loro
l’appellativo di “guercini”: per non cadere erano costretti
a guardare in tralice, attraverso i fori del cappuccio. Il priore portava
una mazza lignea scolpita ed era preceduto da uno stendardo di raso nero.
In filo d’argento era damascata la, che il popolo chiamava “La
Lucia”. La morte porta una corona, “perché è
la vera regina dell’umanità”. Accanto a lei una serie
di simboli: la falce che taglia la vita, la clessidra che ricorda quanto
scorre veloce il tempo e le fiaccole della vita, rovesciate perché
la vita si è spenta.
Il manoscritto degli statuti originali del 1567 è conservato nell’archivio
della Curia Vescovile di Urbania. È rilegato in cuoio e consta
di 19 carte recto-verso con filigrana (stemma della famiglie senese Piccolomini,
croce caricata da cinque lune), di dimensione 27,5 x 20,5 cm. Alla carta
9 si legge l’approvazione autentica di Giulio Feltrio Della Rovere
con il sigillo personale. Dalla carta 10 ci sono i “Nomi delli Fratelli
della Morte”.
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