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Il
fenomeno
Un tempo si pensava
a una pozione magica. Poi generazioni di scienziati hanno creduto a una
muffa. Oggi il segreto delle mummie di Urbania è stato svelato,
e non sta in una pozione e tantomeno in una muffa.
La soluzione nelle parole del paleopatologo Gino Fornaciari, docente di
Storia della Medicina all’Università di Pisa: “Quei
corpi si sono conservati grazie alle particolari condizioni microclimatiche
dell’ambiente. In poche parole, bisogna pensare a un perfetto equilibrio
di ogni elemento: freddo sì, ma non rigido, ambiente secco ma non
troppo. Condizioni che difficilmente permetterebbero la vita a un fungo”.
Un fungo come
l’hypha bombicina pers, la muffa che, fino a qualche anno fa, si
credeva avesse disidratato i corpi di Urbania fino a mummificarli.
Nel 1829 un certo Marcolini, naturalista dell’800 e medico nella
città di Udine, eseguì un’autopsia su un cadavere.
In un batterio trovò la risposta al mistero della mummificazione.
Fu poi il direttore del giardino botanico di Trieste, Biasoletto, a dare
un nome a quel batterio: hypha bombicina pers.
Una teoria
a cui si è creduto per più di un secolo. Chi l’ha
sfatata?
Arthur Aufderheide, paleopatologo dell’Università del Minnesota.
La dimostrazione è in Scientific study of mummies, pubblicato nel
2002 dalla Cambridge University Press.
La paleopatologia
è l’unica scienza a entrare in campo nello studio dei fenomeni
di mummificazione?
Sono i paleopatologi ad analizzare i corpi, ma è fondamentale l’apporto
di antropologi e archeologi. Le malattie che caratterizzano una società
umana dipendono molto dall’interazione con l’ambiente circostante,
ed è per questo che permettono di capire meglio la società
stessa. E se si considera che il nostro lavoro si effettua su resti umani
antichi, si capisce l’importanza che riveste per noi l’archeologia.
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