L'intervista

 

 

 

 

 

 

Urbania, 1800

Nella Cappella Cola i confratelli hanno un bel daffare. Nel giardino della chiesa ci sono lavori in corso: si obbedisce all’editto napoleonico di Saint Claud. Bisognava scavare per disseppellire i corpi dei defunti e riseppellirli fuori della mura cittadine. Motivi igienici.
I confratelli scavano. Scheletri, ossa sparse, molti teschi emergono dal terreno. E poi la meraviglia. Quindici mummie.
Una cosa mai vista: quindici cadaveri perfettamente conservati. All’epoca il priore è Vincenzo Piccini e intuisce subito l’importanza della scoperta. Rimane esterreffatto. Da uomo di scienza qual è, non grida al miracolo. Ma non poteva neppure concepire che quei corpi si fossero conservati in modo naturale. Ecco la soluzione: si trattava di cavie, forse di un mago che aveva trovato la formula per mantenere i corpi intatti in eterno.
Ed ecco la decisione: trovare quella formula. Gli ultimi anni della sua vita li dedica a questa ossessione. La formula arriva. Piccini è convinto di averla trovata. Lascia precise istruzioni ai collaboratori su che cosa fare alla sua morte: trattare il proprio cadavere con alcune iniezioni. Ha un altro desiderio: la stessa cosa si farà per sua moglie, Maddalena Gatti, e suo figlio, forse medico e sposato con una nobile della famiglia Leonardi.
Dicembre 1832. Vincenzo Piccini muore. Le sue volontà vengono rispettate. Ma il tempo non gli dà ragione. La formula non era quella giusta. Possiamo vederlo da noi. Il suo corpo è conservato al centro del cimitero delle mummie, là dove lui aveva speso gran parte dell’esistenza. Uno scheletro, non una mummia. Così come quello della moglie e del figlio, oggi insieme nella prima teca a destra del cimitero.