"Così
la fiction si ispira alla mia città"
“La
fiction Carabinieri? Praticamente i militari di Tolentino ne sono
stati i coautori”. Marina Garroni, regista e sceneggiatrice
romana, è arrivata nella “piccola Broadway d’Italia”
una ventina di anni fa, chiamata da Saverio Marconi. E da allora
non se ne è più andata.
Per molti anni ha diretto la scuola di recitazione
del Centro teatrale Sangallo e ora, dal 1992, si dedica esclusivamente
a scrivere soggetti e sceneggiature per la televisione. “I
ragazzi del muretto”, “Amico mio”, “L’avvocato
delle donne”, “Una donna per amico”. E, più
recentemente, le prime due serie di “Carabinieri”, la
fiction andata in onda su Canale 5 con protagonista Manuela Arcuri.
In pochi lo sanno, ma Tolentino e le sue vicende hanno influenzato
parecchio le storie apparse in tv.
“Dovevo scrivere una serie su una compagnia di carabinieri
di provincia – racconta la Garroni – e non avevo idea
di come fosse la loro vita, il loro lavoro. La compagnia di Tolentino
mi ha aperto le porte sul loro mondo, dove dormono, dove mangiano,
come gestiscono i casi. E mi hanno dato tante dritte per rendere
credibili le storie di cronaca”.
Già, perché ogni puntata di “Carabinieri”
deve avere il suo caso da risolvere. E inventarli non è facile.
E allora Marina Garroni decide di attingere dalle notizie “vere”
che riguardano Tolentino: “Facevo una sorta di rassegna stampa
quotidiana. Catalogavo tutto quello che accadeva in città
e in provincia. E spesso ho ripreso interamente delle vicende”.
Come il caso di un laboratorio clandestino gestito dalla mafia cinese,
dove gli operai vivevano in condizioni prossime alla schiavitù.
Fu scoperto per caso, grazie all’occhio del maresciallo dei
carabinieri, che, andando a fare la spesa al supermercato, notò
un cinese che acquistava quantità esagerate di riso e si
insospettì.
“Nella
fiction c’è tutta l’atmosfera di Tolentino –
spiega la Garroni – dove tutti conoscono tutti e i carabinieri,
ancor più, conoscono la città e hanno un profondo
rapporto con essa. C’è il tessuto sociale tolentinate:
benestante, apparentemente senza conflitti. Ci sono praticamente
tutti i cognomi, anche i più buffi. Ci sono anche alcuni
persone. Ad esempio quella interpretata da Paolo Villaggio, che
è un po’ il matto del paese. Soggetti che in una grande
città diventano invisibili e che invece in provincia sono
dei personaggi. Se fossi sempre vissuta a Roma non sarei stata capace
di scrivere una storia così”.
Dunque un lavoro del genere è possibile anche
lontano dal mondo della televisione e del cinema? “No, cominciare
quest’attività da qui è praticamente impossibile.
Non riesci a crearti i contatti giusti. Ma io ho iniziato a Roma
e trasferirmi qui non è stato un grosso problema. A Tolentino
la vita è più semplice, non ci sono tempi morti, riesci
a portare avanti anche la famiglia. Non ci sono grosse distrazioni
e sei meno costretto alle pubbliche relazioni. E per mantenere i
contatti c’è sempre Internet”.
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