“Se da tre caramelle vuoi guadagnare tre non puoi pretendere
di sopravvivere ed essere competitivo sul mercato. Eppure questa
è la mentalità del goriziano. Se può guadagnare
cinque già pensa al lavoro in più che dovrebbe affrontare”.
Parole chiare quelle del neo sindaco di Gorizia, Vittorio
Brancati, che analizza l’imminente caduta del confine. Cosa
significherà la caduta del confine per la sua città?
Con la caduta delle barriere doganali il settore import -export
subirà gravi ripercussioni. Questo è il mio primo
pensiero, ed è la situazione che si troveranno a fronteggiare
centinaia di lavoratori divisi in decine di aziende. Dal primo maggio
il traffico viario della città si ridurrà del 40-60%;
questo significa che le imprese vanno ricollocate.
Quali altre preoccupazioni?
La sicurezza, sicuramente. Gorizia è da sempre una città
tranquilla. Fino a oggi non c’è mai stata una rapina
in banca. Il timore, soprattutto dei cittadini, è che con
la caduta del confine si possano aprire vie di fuga per i criminali
ora inesistenti.
Poi c’è il rischio che l’economia non riesca
a ripartire a causa della grande vigoria della popolazione slovena,
abile in questi anni ad affermarsi sul mercato, molto più
del goriziano.
La storia della tre caramelle…
Sembra uno scherzo ma è così. Nova-Gorica si è
sviluppata, ormai ha le dimensioni di Gorizia. La mia città
è chiusa, ha paura delle novità e forse anche per
questo non sta vivendo il futuro, ovvero non sta valutando per tempo
i possibili vantaggi che la caduta del confine può portare.
Dovremo cambiare la nostra struttura economica. La città
ha vissuto evoluzioni di settore negli ultimi cinquant’anni.
Negli anni 50 producevamo calze e mattoni, poi sono arrivati i jeans
negli anni ’70-‘80, fino all’esplosione delle
boutique negli anni novanta. Poi il nulla. Gorizia deve tornare
a essere calamita di richiamo per chi passa in Friuli.
Forse vi siete adagiati sul commercio con la Slovenia?
Questa può essere una spiegazione. Fino agli anni novanta,
ovvero fino a quando in Jugoslavia regnava il comunismo, i prodotti
italiani e quindi quelli provenienti da Gorizia erano ambiti e ricercati.
C’erano file di compratori al confine. Da qui il boom delle
boutique. Oggi a Nova-Gorica hanno tutto, autonomamente.
Cosa pensa il Goriziano dell’allargamento?
Il 75-78% per cento è favorevole. C’è una convinzione:
saremo al centro del nuovo allargamento e questo non potrà
che portare nuovi benefici. Con gli sloveni da tempo ci stiamo organizzando
per affrontare al meglio la “fusione” , anche se poi
tale non sarà. Entrambe le città hanno una storia
alle spalle, che le rende forti abbastanza per non temere un accorpamento
reciproco.
Cosa pensa degli sloveni?
Da anni sono i nostri partner primari nel commercio. Sono dei grandi
lavoratori e di qualità. Le attività commerciali si
sono sviluppate in parallelo. Questo per quel che riguarda l’economia
che non basta, però, a far convivere due culture diverse.
A Gorizia, in accordo con la minoranza slovena, che tra l’altro
sta crescendo di numero ogni anno, sono partiti progetti scolastici
comuni. Bilinguismo obbligatorio nelle scuole della minoranza e
sloveno facoltativo in quelle statali normali. È un ulteriore
passo per ricercare la convivenza.
E con il sindaco Brulc come si sviluppano i rapporti?
Stiamo progettando insieme un modo per trasformare l’autoporto
- che è una delle strutture in comune - in qualcosa di redditizio
e attraente per entrambe le comunità. L’idea è
che se prima i camionisti dovevano fermarsi per forza a causa dei
controlli, oggi noi dobbiamo stimolarli a fermarsi per piacere,
per riposarsi. Dobbiamo dar loro dei punti di ristoro e di relax
efficaci.
Nuove strutture, quindi lavoro, quindi possibilità
di impiego delle forze della sua città.
Dovrebbe essere così, ma poi torna fuori la storia delle
tre caramelle e mi trovo a fronteggiare proposte per la costruzione
di nuovi alberghi stimolanti, ma solo da parte delle società
slovene. Anche questo è un limite della città: l’incapacità
di cavalcare l’onda. Ma alla fine sono sicuro che i miei cittadini
si renderanno contro delle opportunità e sapranno reagire.
La più difficile divisione fra le due realtà
è quella storica. Le foibe sono ancora una ferita aperta,
come affrontarla in questi pochi mesi che rimangono prima dell’allargamento?
I passi in avanti ci sono e vanno affrontati da entrambe le parti.
Ci sono 670 famiglie che vogliono sapere la verità. Vogliono
capire il perché. Nessuno chiede la galera, ma solo una spiegazione.
È tempo di aprire gli archivi. Non è possibile che
dei figli della stessa terra non riescano a superare uno stacco
di cinquantanni fa. Ci sono riusciti i francesi con i tedeschi,
gli stessi tedeschi fra di loro e noi, che viviamo sulla stessa
terra non abbiamo la forza, non dico di superare, ma anche solo
di parlare del nostro drammatico passato.
Rimane l’ottimismo, comunque.
Il progetto Inter-Regionale che abbiamo avviato in comune, è
promettente: lingua e cultura come mezzo di condivisione e superamento
dell’odio.
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