Professor Gasparini, cinquant’anni fa si alzava un
muro fra le due città, come hanno vissuto le popolazioni
questa situazione?
Per gli sloveni, fin dal primo momento la divisione è stata
considerata una rapina. Basta leggere i loro libri di storia quando
parlano della fine della seconda guerra mondiale. Ma anche gli italiani
non hanno mai compreso il motivo di questa divisione, del separare
un territorio che in ogni aspetto è uguale da una parte e
dall’altra. Nuova Gorica è nata come contrapposizione
alla città italiana, già forte e radicata sul territorio.
Che fossero tutt’uno lo dimostra la facciata della stazione
del treno la Transalpina che, come si nota, è rivolta verso
Gorizia, anche se - dopo l’erezione del confine - fa parte
della Slovenia. È il simbolo di questa situazione una struttura
nata per un territorio che poi è stata svilita e annientata
da una divisione fatta sulla cartina geografica.
Divisione che da geografica è divenuta anche culturale
e sociale.
Indubbiamente. Gli anziani hanno radicato nella loro cultura l’idea
che l’italiano sia un usurpatore e hanno imposto ai giovani
quest’immagine. Ancora oggi lo scambio fra le diverse generazioni
è più a livello di servizi e utilizzo del tempo libero
che a livello culturale e di dialogo. Sono ancora molti gli stereotipi
fra le due città. Per lo sloveno l’italiano è
inaffidabile e chiacchierone, viceversa per l’italiano lo
sloveno è uno ‘zuccone’ che cede solo se gli
si lascia avere ragione. Bisogna migliorare la conoscenza reciproca.
Ci stanno provando, con buoni risultati, i responsabili della minoranza
slovena in Italia.
A livello economico la situazione è però
differente…
In parte. Rimane un profondo distacco fra le due comunità.
L’Italia è da sempre un vicino scomodo e lo dimostra
lo scarso interesse verso la nostra lingua fino a pochi anni fa.
La priorità è sempre stata data all’Austria
o alla Germania, chissà forse anche per ragioni di ceppo
linguistico, ma sicuramente per interessi governativi. Dal 1991,
con l’indipendenza ottenuta dalla Jugoslavia, la Slovenia
ha dovuto cambiare le sue regole socio economiche. Le aziende sono
cambiate e dalle grandi strutture, le aziende comuniste e totalizzanti,
si sono sviluppate le piccole imprese, e si sono aperte alle regole
del mercato. Il posto di lavoro è legato alla produttività
e all’utilità, non solo alla capacità di lavorare.
Questo ha comportato un aumento della disoccupazione e dei prezzi.
Ma Nova Gorica ha comunque saputo reagire.
Collaborando con l’Italia magari…
Il rapporto economico è molto forte. La domanda di lavoratori
sloveni è costante: muratori, donne di servizio e badanti.
Dal 1991 con l’indipendenza e la facilitazione nel passaggio
del confine, sono aumentati i lavoratori transfrontalieri. Lavorare
in Italia significa avere un ammortizzatore per i momenti di difficoltà.
Il passaggio dall’economia comunista a quella di mercato ha
portato il calo degli stipendi e l’aumento del costo della
vita. Un posto in Italia significava soldi facili e una pensione
in futuro.
Il confine produceva denaro, quindi.
Il vantaggio per questa zona consisteva nella “rendita di
posizione”. Ovvero Tito finanziava solo per mantenere attivo
e vivo il suo confine comunista. Con il crollo degli anni novanta
è cambiato questo aspetto. Ma anche nell’area italiana.
Solo a Villa Vicentina, dove risiedevano mille persone, c’erano
cinquemila militari. Durante gli anni della guerra fredda il 60
per cento delle forze armate era stanziato a Gorizia o comunque
sul Carso.
Come superare la fine del confine e quindi di tutti i suoi
vantaggi?
Dal primo maggio non si fermerà più nessuno, quindi
bisognerà riciclare le strutture, renderle attraenti e utili.
Dovremo imparar a cooperare. Ecco, la “cooperazione transfrontaliera”
sarà determinante. Attraverso progetti comuni si riusciranno
a ridurre i costi di gestione di molte strutture e questo permetterà
di sopperire al calo delle entrate legate al confine. L’idea
è di progettare un ospedale unico e comune, che possa diventare
un fiore all’occhiello della regione. È assurdo che
se mi rompo una caviglia debba andare a farmi curare in Slovenia,
mentre se serve una tac sono loro a venire in Italia. Dall’ospedale
all’aeroporto. È in cantiere, anche se solo mentale,
il progetto di costruire uno scalo comune che possa attrarre il
turista e non tagliarci fuori dall’asse orientale, che non
può fermarsi solo a Trieste.
Un ruolo lo assumerà anche l’università?
L’apertura internazionale delle strutture universitarie è
fondamentale. Per fare questo bisogna però radicarla sul
territorio, invece sia Gorizia che Nova Gorica sono a loro modo
dipendenti. Il paradosso è che anche in questo settore la
città slovena si sente sfruttata. Lubiana ha preferito puntare
sull’asse litorale concentrando investimenti e risorse su
capo D’Istria questo ha significato per Nova Gorica uno stallo
e un allontanamento dai progetti europei nazionali. Noi abbiamo
proposto una collaborazione alla piccola università slovena
ma mentre dai Balcani Belgrado ha risposto con entusiasmo all’ipotetico
asse con Italia, Francia e Germania, Lubiana ha nicchiato e di conseguenza
Nova Gorica. Per non perder i finanziamenti europei per il progetto
di collaborazione abbiamo deciso di procedere senza di loro. È
un peccato ma è stata una scelta obbligata che certo non
è un buon esempio di collaborazione transfrontaliera, che
tra l’altro all’Isig insegniamo e favoriamo.
Problemi tecnici che si apriranno?
La casa. Dal 2004 potrebbero cambiare le politiche di assegnazione
delle case comunali. Gli sloveni potranno partecipare ai bandi di
assegnazione e avendo spesso il reddito più basso saranno
favoriti. L’Ater ( azienda territoriale edilizia residenziale)
si troverà costretto ad assegnare i nuovi spazi agli sloveni.
Non che sia un problema, ma potrebbe accelerare il pericolo che
spaventa ancora molti goriziani: la slavizzazione.
|