Cittadini e Wwf in difesa
del torrente Sant’Antonio


Pubblicato il 10/04/2012                          
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Il torrente Sant'Antonio alla Guinza

MERCATELLO SUL METAURO – Una vallata tagliata a metà, colline traforate e pesci a rischio scomparsa. A pagare il prezzo dei lavori non sono solo i contribuenti, ma la stessa valle del Metauro. Compreso il torrente Sant’Antonio, già in passato a rischio inquinamentoper il rilascio sul suo corso delle acque di scarico provenienti dal cantiere.

Acque sporche che dovevano essere depurate e che si sono invece riversate, cariche di detriti, nel torrente Guinza. Da lì, attraverso il Sant’Antonio, hanno raggiunto il fiume Metauro fino a Urbania. Il motivo? Tutta colpa di normative non rispettate e di controlli approssimativi sulla regolarità dei lavori.

Eppure era stato lo stesso ministero dell’Ambiente a fissare le regole: il via libera per la compatibilità ambientale veniva concesso all’Anas Marche solo “a condizione checome si legge in un documento del 21 marzo del 2000 fosse impedito, durante i lavori, il deflusso delle acque dei cantieri verso i corsi d’acqua, provvedendo alla raccolta e al deflusso stesso degli scarichi“. Obblighi che sono rimasti sulla carta o che, quantomeno, sono stati realizzati in modo superficiale.

IL PRECEDENTE – Negli anni ’90, durante i primi lavori al cantiere della Guinza, la Sir Spa (Società imprese riunite), poi fallita, aveva ottenuto la possibilità di rilasciare le acque reflue, dopo averle depurate, nel torrente che attraversa l’area. Nonostante gli obblighi, nel corso d’acqua furono riversate acque sporche di polveri. “Ci sono voluti sei anni prima che venisse recuperato l’equilibrio della fauna fluviale”, spiega Giuseppe Dini, vicepresidente del Wwf Marche. Scarichi di fanghiglia che rendevano lattiginoso il fiume Metauro fino a Urbania.

LA STORIA SI RIPETE – Per il fiume e i suoi pesci il pericolo però non era ancora scampato. Alla ripresa dei lavori, subappaltati nel 2000 dalla Romagnoli Spa alla ditta Vienne Costruzioni Spa, è il pescatore Dario Antonelli a denunciare al corpo forestale un’improvvisa moria di trote e il colore grigiastro delle acque. Così le autorità, il 22 febbraio 2001, accertano “l’evidente stato d’inquinamento delle acque“, come si legge nel verbale del sopralluogo. Per Tino Sciaini (capocantiere dei lavori) e Stefano Maria Neve (legale della Vienne Costruzioni) l’accusa notificata al termine delle indagini preliminari (il 18 ottobre 2011) è quella di danneggiamento e scarico non autorizzato di acque reflue. Archiviato invece il reato più grave, relativo all’alterazione dello stato dei luoghi, in quanto al pm “non risulta configurabile l’attività in termini rilevanti“.

La Vienne Costruzioni però si difende: denuncia ai carabinieri di Mercatello sul Metauro la manomissione, da parte di ignoti, della tubatura che portava le acque reflue al depuratore, solitamente chiusa.

I CONTROLLI – Per verificare lo stato del fiume interviene così l’Arpam, l’ente regionale per la protezione delle acque. Vengono prelevati e analizzati campioni da punti diversi del torrente: se – come si legge in una relazione del febbraio dello stesso anno- a monte del traforo e della discarica (il sito dove venivano ammassate le lapidi scavate dal traforo) l’ambiente risultava poco o per nulla danneggiato, a valle della galleria i residui avevano lasciato il segno. L’ambiente risultava fortemente degradato, temporaneamente incapace di autodepurarsi a causa della progressiva scomparsa delle catene alimentari, ovvero di pesci e insetti.

Il corso d’acqua era diventato così senza vita in poco tempo. In attesa dei risultati dell’Arpam, anche alcuni abitanti di Mercatello sul Metauro, riuniti in un comitato cittadino, cercavano di dimostrare la presenza dei sedimenti di scarto: “Ricordo che in una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo, utilizzata come campione, oltre metà era inquinata dalla melma”, spiega Marco Balducci, uno degli agricoltori espropriati.



IL PATTEGGIAMENTO DEL CAPOCANTIERE – Il danno ambientale non era però permanente. Obbligata la Vienne a intercettare e depurare le acque che fuoriuscivano dal cantiere, in un nuovo accertamento dell’Arpam emergeva il progressivo ripristino della vita nel torrente. “La natura per fortuna ha la capacità di autoriparsi, anche se non tutti i danni sono rimediabili”, spiega Giuseppe Dini.

Intanto le indagini proseguivano. Il corpo forestale aveva infatti informato l’autorità giudiziaria:così partiva il processo nei confronti del capocantiere e del legale rappresentante della Vienne Costruzioni, durante il quale il Wwf si costituì parte civile. Una scelta alla quale si allineò in seguito anche la provincia di Pesaro Urbino, per “danneggiamento morale e patrimoniale, in ragione delle competenze in materia di tutela ambientale“. Tra il 2003 e il 2004 le sentenze: il capocantiere chiese e ottenne il patteggiamento, così fu punito con tre mesi di reclusione. Assolto invece il legale: nella sentenza si legge infatti come il capocantiere Tino Sciaini, fosse da ritenersi “l’unico esclusivo assuntore delle scelte operative del cantiere”. Il legale, inoltre, chiariva il giudice, si era preventivamente attivato per richiedere l’autorizzazione allo scarico (quella concessa alla SIR nel ’92, ormai scaduta), quindi aveva assolto alle sue funzioni di controllo.

“Anche se dal punto di vista giuridico il patteggiamento non è una condanna, le responsabilità sull’inquinamento del torrente erano chiare”, aggiunge Giuseppe Dini.

La speranza di associazioni e cittadini è che, qualora riprenderanno i lavori, ci siano maggiori controlli per tutelare i tesori ambientali della vallata. Anche perché, con il tempo, il fiume si è pian piano ripulito: “Oggi le acque del Sant’Antonio sono tornate alla normalità”, conclude Marco Balducci. A dominare la valle però, in attesa di novità, resta ormai solo il cemento.

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