Il fulcro della “contraffazione criminale”, secondo l’ultimo rapporto Unicr (United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute) è quello del clan napoletano Mazzarella e della cosiddetta Alleanza di Secondigliano. Si legge “la contraffazione può essere considerata il “businessdelle mafie del futuro”. Sicuro, basato sul commercio e sui soldi, più pulito della droga, ottimo per il riciclo dei soldi sporchi e con un miglior rapporto rischio/profitto.
La ricostruzione storica della filiera camorrista del falso può iniziare dalle figure dei magliari , impegnati nel commercio cittadino con una vendita porta a porta di capi di maglieria e delle stoffe, spesso contraffatte.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, la rete di vendita dei magliari poggiava su un tessuto produttivo localizzato nel centro storico della città di Napoli e organizzato intorno alla lavorazione di capi in pelle e dell’abbigliamento. Negli anni Settanta l’aumento del costo delle materie prime e del lavoro provocò una crisi nel settore artigiano: le unità produttive furono delocalizzate ai quartieri della periferia nord e comuni confinanti.
Così, durante gli anni Ottanta e Novanta, le attività produttive del “comparto moda” si concentrarono nell’area nord di Napoli e in particolare nel quartiere di Secondigliano. Sempre in quegli anni si imposero sulla scena napoletana altri clan (Contini, Licciardi, Di Lauro e Sarno) che hanno svolto una funzione di cerniera tra provincia e città, estendendo la propria influenza anche al di là del territorio strettamente controllato. Il nucleo fondativo dell’Alleanza di Secondigliano è composto dall’asse Contini-Licciardi. Questi ultimi hanno da sempre operato nel commercio dell’abbigliamento.
Napoli si è da subito proposta come centro nevralgico per la produzione del falso: da
un lato, grazie alla lunga tradizione commerciale e alle competenze artigiane descritte, dall’altro, in seguito alla riconfigurazione geo-politica mondiale (post 1989) per cui gli imprenditori napoletani acquisirono un ruolo strategico nelle catene di commercio globale e in particolare, con le aperture verso Est, sui canali Asiatici.
L’espansione dei Licciardi nel settore della contraffazione ha di fatto aperto nuove strade alla criminalità organizzata napoletana. Gli investimenti e le imprese in questo senso, si sono moltiplicate al di là dei confini segnati dalle alleanze di Camorra, con ramificazioni costituite dalla rete internazionale dei magliari, localizzati in Gran Bretagna, Germania, Francia, Svizzera, Austria, Spagna, Australia, Canada e Stati Uniti. I proventi dei reati rientravano poi in Italia tramite il già citato sistema dei money transfer
“Nella filiera criminale internazionale – si legge nel rapporto Unicr – il primo livello è composto dai fratelli Licciardi e dai boss del gruppo di Secondigliano (Contini, Di Lauro e Lo Russo). È su questo primo livello che si decidono gli investimenti e le strategie commerciali dell’organizzazione e si tratta con gli altri clan interessati al mercato del falso.
Sotto c’è la direzione commerciale napoletana, dove si dirigono le operazioni, si coordinano i vari mercati e si mantiene il controllo della produzione. Il settore della contraffazione si articola poi in due diverse filiere: da un lato c’è la merce assemblata nel napoletano, dall’altro i prodotti importati principalmente dalla Cina e in generale da quei paesi in cui il costo del lavoro è più basso.
L’ultimo anello è composto dai magliari stessi, i quali organizzano la distribuzione finale dei prodotti falsificati, trasportando le merci e occupandosi della vendita per strada o nelle zone pedonali maggiormente frequentate. Dalle diverse indagini sono emersi i canali commerciali e finanziari aperti con numerosi paesi: Austria, Germania, Svezia, Belgio, Russia, Brasile, Francia, Svizzera, ex Jugoslavia, Cina, Irlanda, Portogallo”.
Secondo le indagini svolte dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, nelle zone di Gianturco, San Giovanni a Teduccio, Poggioreale, nella Zona Industriale (Periferia est della città) e nei comuni vesuviani di Terzigno, San Giuseppe, Ottaviano e San Gennaro si concentra la maggiore presenza di merci contraffatte, soprattutto provenienti dalla Cina.
Si tratta, per lo più, di prodotti di abbigliamento e di alta moda, orologeria, parti elettriche e giocattoli che arrivano attraverso il porto di Napoli. Arrivano ingenti quantitativi di beni a basso costo e privi di qualsiasi indicazione o logo per eludere i controlli doganali. Poi la merce è inviata agli opifici clandestini dove viene lavorata per applicare le false griffe o addirittura il marchio “made in Italy”.
A questo punto, la commercializzazione dei prodotti contraffatti si realizza in due modi. Nel primo caso, tramite venditori che, attratti dal basso costo, accettano di venderla nel proprio negozio accanto a quella originale. Nel secondo, tramite lo sfruttamento dei migranti.