Il reato
In Italia l’importazione di merci contraffatte è un reato, previsto dall’articolo 474 del codice penale, con una sanzione sia detentiva che pecuniaria. Le pene si sono inasprite negli ultimi anni perché il legislatore si è accorto dell’entità del fenomeno e soprattutto del coinvolgimento della criminalità organizzata. Con la legge 99 del 2009, dopo molte pressioni anche da parte delle associazioni di categoria come Confindustria e Confesercenti, sono state migliorate le tecniche investigative, ammesse le intercettazioni, aumentati i controlli. Ma se esiste una sensibilità per quanto riguarda le grandi spedizioni, non vale lo stesso per i piccoli pacchi.
Le Dogane avevano proposto una modifica della legge che prevedesse una sanzione amministrativa per i piccoli quantitativi. Il Parlamento però l’ha respinta ritenendo che potesse essere uno stimolo al commercio di merci contraffatte piuttosto che un deterrente. Al momento, quindi, sia che si importino 20 pezzi che 20.000, la sanzione dovrebbe essere la stessa.
Quando la pratica però si sposta nei tribunali, la situazione cambia. Se è infatti facile dimostrare il dolo per un soggetto che importa un container di 40mila piedi, non vale lo stesso per l’utente che acquista su internet. Basta un buon avvocato e il compratore si può giustificare affermando che non sapeva che quella merce fosse contraffatta quando l’ha acquistata. Tanto più che non ha potuto vederla materialmente. In questo caso è quindi difficile trovare la responsabilità penale.
Le procure quindi, vista anche la quantità di pratiche segnalate per le piccole spedizioni, hanno dato indicazione alle forze di polizia giudiziaria di non fare notizia di reato per quantità inferiore a 20-30 pezzi. Ogni procura d’Italia ha però un termine diverso.
I controlli delle Dogane, sia fisici che documentali, avvengono sulla base di un’analisi del rischio elaborata attraverso i database delle Dogane. Questo perché aprire e svuotare i container implica costi di gestione delle operazioni alla compagnia portuale che vanno a carico dei soggetti controllati. Per legge non si può procedere a un controllo sistematico perché penalizzerebbe gli onesti. Vale lo stesso per il passaggio delle navi attraverso gli scanner che identificano il tipo di materiale trasportato. L’esistenza di un sito internet, poi, non genera un profilo di rischio e quindi intercettare i singoli pacchi è molto complicato.
Dla 2014 è stata attivata una banca dat denominata FALSTAF in cui vengono inseriti dati e schede prodotto delle griffe e delle loro rotte. Le case produttrici comunicano dove hanno delocalizzato le loro aziende. Le Dogane consigliano loro di importare sempre da un unico punto d’ingresso. Ogni altra merce recapitata per altre vie, quindi, sarà con sicurezza contraffatta.
La distruzione della merce contraffatta
Distruggere gli stock di merce contraffatta sequestrata non è facile. Ogni materiale risponde ad uno specifico procedimento previsto per legge e i costi dovrebbero essere imputati a spese di giustizia . Inoltre, essendo le merci “corpo di reato”, dovrebbero essere conservati nei depositi giudiziari. Un container, per ovvi motivi di spazio, non entra in un deposito giudiziario quindi le merci vengono conservate nei depositi dei porti e degli aeroporti.
Le dogane sequestrano però la merce, non il container, e dopo un po’ di tempo la compagnia di navigazione chiede indietro il container minacciando di far pagare il costo di deposito. Si spendono soldi anche per farli svuotare.
I titolari delle griffe famose si rifiutano di distruggere la merce, pretendono che siano fatti i sequestri caricando i costi sulla pubblica amministrazione. A volte le autorità giudiziarie cercano strada alternativa, ordinano la rimozione del marchio e donano la merce ad associazioni benefiche. I proprietari dei marchi anche in questo caso non sono d’accordo perché temono possa essere rifalsificata e inserita di nuovo nel circuito della contraffazione. Resta quindi il grande problema dello smaltimento.