A due passi dalla medievale Salemi e alle spalle del tempio greco di Segesta, Gibellina Nuova è un piccolo mondo a parte. Ogni angolo di strada porta il segno dell’arte contemporanea perfino il cimitero nuovo con i cancelli e le cupole progettate da Consagra che proprio qui si fece seppellire. Molti oggi la considerano un “gioiello artistico”. Che però è nascosto nell’ entroterra siciliano, coperto da erbacce e rifiuti e sconosciuto al turismo internazionale.
Negli anni ’80 Gibellina Nuova fu trasformata in un grande laboratorio a cielo aperto in cui si riunirono i principali nomi del panorama artistico internazionale. Secondo il sindaco di allora, Ludovico Corrao, solo l’arte avrebbe potuto restituire “un’anima” a quella città vuota e senza un centro, costruita dal nulla dopo il terremoto del 1968. Così il paese iniziò ad arricchirsi di sculture colorate, enormi aratri, strutture architettoniche dalle forme più insolite. «Ai turisti che ci chiedono cosa sono queste sculture che dobbiamo dire? “Voi, mi rispose il sindaco, dite arti contemporanea”. E che significa? – chiesi – Ognuno come la vuole pensare la pensa e come la vuole chiamare la chiama, disse lui”. Michele Plaia, 75 anni, ride ancora raccontando lo stupore degli abitanti quando a Gibellina cominciarono a sbucare le prime opere d’arte. “Li chiamavamo ‘pupi’ perché non sapevamo cosa fossero poi ci hanno spiegato che erano arte. Noi non le capiamo ma i turisti vengono qui per vederle”, – dice divertito Ciccio Ienna, ferroviere in pensione. Gibellina Nuova oggi è un vero museo a cielo aperto nascosto nell’ entroterra siciliano, a due passi da Salemi e direttamente collegato all’ autostrada Palermo – Mazzara del Vallo. Eppure la visita in città per molti si trasforma in una caccia al tesoro.
I cartelli che indicano come raggiungere le opere sono pochi e i turisti vagano con il naso all’ insù tra erbacce e spazzatura alla ricerca dei capolavori di Pietro Consagra, Isgrò, Arnaldo Pomodoro. Arrivare al Cretto con cui Alberto Burri coprì le rovine di Gibellina Vecchia, poi, è un’impresa quasi impossibile. Tant’ è che sui social network turisti e appassionati si lamentano.
Dentro la città si trovano due musei d’arte contemporanea, il museo Civico e quello delle Trame Mediterranee, che ospitano tele e installazioni di artisti del calibro di Mimmo Rotella, Renato Guttuso, Mario Schifano. Sono degli unicum nel panorama museale siciliano ma, nonostante ciò, i visitatori sono pochi e i due musei non riescono a decollare. Il numero di turisti è in calo costante: dal 2011 a oggi i biglietti staccati dal museo Civico sono diminuiti del 40%, passando dai 1000 a 600. I dipendenti non hanno neppure un registro per quantificarli. “Li contiamo a mano”, spiegano.
Le ragioni per cui i turisti sono pochi si trovano nei commenti che lasciano su Tripadvisor, il famoso social network dedicato ai viaggi. “Non ci sono indicazioni per raggiungere il museo- scrive un utente – e se non trovi qualcuno disposto a darti informazioni, raggiungerlo è difficile”. E tra difficoltà e stupore non mancano le segnalazioni di disagi: “Manca l’aria all’interno delle sale, pazienza”.
La zona dedicata alle opere di Schifano è tra le più apprezzate dagli utenti dei social ma le mura su cui sono appese le tele, realizzate insieme ai bambini di Gibellina Nuova e donate alla città, sono macchiate di umidità. “L’edificio ha bisogno di un restauro immediato – spiega Tommaso Palermo, dipendente comunale che dentro il museo è una sorta di tuttofare – ma i soldi non ci sono.”
Non è migliore lo stato in cui si trovano le opere d’arte che si trovano in giro per la città: le sculture in ferro stanno arrugginendo in mezzo alla spazzatura E gli edifici costruiti da Consagra sono pieni crepe.
Diversa la situazione del museo delle Trame Mediterranee. “Il museo è privato – spiegano nella biglietteria – appartiene alla Fondazione Orestiadi e le sue attività sono indipendenti da quelle dell’altro museo che è gestito dal comune.”
I due musei si trovano praticamente uno di fronte all’ altro ma il fermento intellettuale che ruota intorno alla Fondazione ha sottratto il museo delle Trame Mediterranee alla situazione di incuria e abbandono in cui versano il museo Civico e, in generale, le opere della città.
Nel 2013 ha avuto 6 mila accessi, 5 mila e 400 in più rispetto a quelli del museo Civico. Ma anche qui c’è stata una flessione e i visitatori sono in calo rispetto al 2012 quando si era raggiunta quota 10 mila. Negli spazi espositivi si trovano vestiti, gioielli, ceramiche e opere d’arte dei popoli dell’area mediterranea, dalla Sicilia all’Egitto passando per il Marocco e l’Algeria. E’ un Museo/ Officina con un atelier e spazi destinati a ospitare gli artisti di fama mondiale che arrivano a Gibellina Nuova. “Noi diamo loro vitto e alloggio per qualche settimana e loro prima di andare via lasciano al museo alcune delle opere che hanno realizzato”, spiega Santino Formoso, membro della Fondazione.
Proprio i membri di Orestiadi fino a qualche anno fa oltre che occuparsi del museo, avevano dato vita a un festival che richiamava tanti visitatori. Gli abitanti raccontano che allora la gente arrivava da tutta Italia per vedere le tragedie greche messe in scena sul Cretto di Alberto Burri, una colata di cemento che ricoprì le rovine della vecchia Gibellina, distrutta dal terremoto del 1968. Considerato come una dei più grandi capolavori di Landart del secolo scorso, il Cretto non è molto conosciuto neppure nella vicina provincia di Palermo. E’ poco pubblicizzato sui siti online, non è suggerito dai centri informazione turistica e i cartelli stradali che lo indicano sono pochissimi. Non c’è un registro e nessuno sa quanti siano i visitatori che ogni anno attraversano le montagne del Belice per vederlo.
E anche la grande opera di Burri, così come il resto delle opere d’arte di Gibellina, è vittima dell’incuria e viene lasciato in preda alle erbacce che sbucano dai blocchi di cemento.
Raggiungerlo, poi, è praticamente impossibile. A segnalarlo sono soprattutto i coraggiosi viaggiatori che hanno tentato di visitarlo. “Strada pessima per arrivarci, zero o quasi segnalazioni”, sui social chi ha visitato le due città, quella distrutta dal terremoto e quella ricostruita, si lamenta per l’assenza di indicazioni e racconta le proprie disavventure.
Google Map dà un solo percorso per arrivare a Gibellina Vecchia, lo stesso indicato dai cartelli autostradali sulla Palermo – Mazzara del Vallo: uscire a Gallitello e poi percrcorrere una stradina di campagna. A un certo punto però la strada si interrompe. Un cartello indica che momentaneamente non si può transitare perché la strada è franata. “Di quella frana mi parlava mio nonno – racconta Michele Plaia che ha 76 – la strada è in quelle condizioni da quasi un secolo.” Ma esiste un percorso alternativo? “Si – spiega Gioacchino De Simone – ma non è indicato su Map né in autostrada. Bisogna uscire a Gibellina Nuova e poi seguire la strada che va verso Santa Ninfa ma le indicazioni sono poche e il primo cartello che indica il Cretto si trova dopo l’uscita autostradale.”
“Lì perdersi è facilissimo – dice Enza Ienna, abitante di 31 anni – a un certo punto ci si ritrova nel bel mezzo delle montagne e non prendono neppure i telefoni. L’unica speranza per chi non conosce il territorio è incontrare un pastore e chiedergli indicazioni.”
Tra frane, buche e ruderi del terremoto ancora intatti, questa strada è l’unica che porta al cretto di Alberto Burri. Lungo il percorso sembra di tornare indietro nel tempo: sulla strada si affacciano ancora le case sventrate dal sisma e, in alcuni tratti l’atmosfera diventa spettrale.