Villette a schiera, strade larghe 20 metri, una città inglese in Sicilia

“Al paese vecchio quando mi affacciavo dalla finestra entravo con gli occhi nella casa della vicina. Qui a Gibellina Nuova, invece, se guardo fuori vedo solo una sequela di case vuote”. Antonietta Verde ha 78 anni ma nei suoi ricordi è ancora viva l’immagine di Gibellina vecchia, il piccolo paese raso al suolo dal terremoto che nel 1968 colpì la valle del Belice. Ricostruita a circa 20 chilometri di distanza, Gibellina Nuova, ha una pianta totalmente diversa da quella del paese ridotto in macerie. “A ispirare gli urbanisti – spiega Angela Badami, professore di Urbanistica all’ Università di Palermo – furono i modelli anglosassoni”. La nuova Gibellina è 10 volte più grande del vecchio paese, ma il numero degli abitanti è rimasto praticamente lo stesso. E nessuno di loro, nè i più anziani nè i giovani, è mai riuscito ad amare la città ricostruita. Anche perché passare dall’ambiente raccolto di Gibellina Vecchia alle enormi strade della nuova città non è stato facile.

“E’ troppo dispersiva non c’era motivo di farla così grande. Vivo qui da 25 anni ma mi sento ancora ospite di questo posto. Questa non è la mia città”, dice commosso Ciccio Ienna, 71 anni, ex ferroviere.

Arrivati alla fine degli anni ’70 con pacchi e valigie dalle baraccopoli, i gibellinesi si ritrovarono in una città senza una piazza principale, senza una chiesa e con strade larghe circa 20 metri. Le case non erano più addossate le une sulle altre ma erano delle villette a schiera con giardino. Lontane dalla strada, lontane dalla casa del vicino. “Mia madre – dice Maria Verde, bibliotecaria di 62 anni –  raccontava sempre che nel paese vecchio  se volevi parlare con la vicina bastava bussare al muro e lei si affacciava dal balcone. Qui per parlare con i vicini ci si ferma davanti al cancello di casa. Addirittura spesso mi capita di vedere delle signore che spazzano tutto il giardino fino al cancello. Si fermano con la scopa in mano sulla strada pubblica e si mettono a parlare con la vicina di casa.”

La nuova struttura urbana ha trasformato le abitudini della popolazione. E a pagarne le conseguenze non sono solo i più anziani. “Quello che si è perso – spiega l’architetto Gioacchino De Simone, 37 anni – è il rapporto tra i vicini: nel paese vecchio si passavano i bambini dalle finestre. Ora la strada non è più luogo di relazione ma di attraversamento”. Nella vecchia Gibellina la vita degli abitanti si svolgeva fuori dalle case. “Ci si sedeva davanti alla porta con i vicini per parlare ma anche per lavorare – racconta Ciccio Ienna – qui tutto questo non esiste più. Non lo fa più nessuno.”
Nella città costruita da zero dopo il sisma le porte delle villette si affacciano sul giardino e sono lontane dalla strada. “Portare la sedia davanti la porta di casa non  avrebbe senso qui. Saresti a 20 metri dalla strada e a 40 metri dal dirimpettaio”, spiega Gioacchino De Simone.

Eppure, negli anni immediatamente successivi alla ricostruzione, la gente di Gibellina aveva cercato di proteggere le sue abitudini. “Ricordo che nei primi anni ’90, a sera io e mamma ci sedevamo fuori, sulle pedonali – racconta la figlia di Ciccio Ienna, Enza, 31 anni – la mia casa era all ’inizio della strada e da lì vedevo in prospettiva tutte le sedie davanti le porte, la gente fuori, i bambini che giocavano. Oggi però le pedonali sono deserte”. Strade pedonali e carrabili a Gibellina Nuova si alternano tra di loro formando una rete viaria complicata da percorrere soprattutto in macchina. “Questa città è stata progettata per essere vissuta a piedi o in bicicletta – spiega il figlio di Antonietta Verde, Daniele Balsamo, insegnante di 41 anni -  infatti non si riesce ad arrivare da un punto all’ altro attraversandola in linea retta perché le strade sono tutte parallele e bisogna fare dei giri lunghissimi. Ma noi non siamo mai riusciti a interiorizzare questa cosa e usciamo sempre in macchina.”
La pianta urbana di Gibellina Nuova è stata creata sui modelli dell’urbanistica anglosassone degli anni ‘60. “A scuola mi hanno spiegato la città Giardino – dice sorridendo Daniele – poi ho visto la pianta di Gibellina Nuova e ho detto: ecco che cos’è la città giardino!”

Nessuna delle città del Belice ricostruite dopo il terremoto ha una pianta urbana ispirata ai modelli mediterranei. Non ce l’ha Gibellina, disegnata a forma di farfalla, e neppure Salaparuta e Poggioreale. I progetti edilizi con cui è stata realizzata Gibellina Nuova prevedevano che le villette a schiera avessero due ingressi: quello principale sarebbe stato sulle pedonali, quello secondario sulle carrabili. Ma il modello è stato stravolto dagli abitanti. “I siciliani sono abituati a vivere nella strada – spiega l’urbanista Angela Badami – e la strada è quella carrabile, quella che si percorre. A Gibellina Nuova, infatti, nei balconi che si affacciano sulle pedonali si trovano caldaie, bombole del gas, biciclette e tutto quello che normalmente viene conservato in un ripostiglio. I prospetti principali delle case sono quelli che si affacciano sulle carrabili. Qui si trovano le tende che arredano porte da garage e si intuisce che dietro quelle porte non ci sono macchine ma salotti.”

La gente di Gibellina Nuova, quando ha costruito le proprie case, ha ribaltato i modelli edilizi e non ha valorizzato le strade pedonali, che oggi sono degli enormi spazi vuoti. “Qui sono tutti abituati a salire con le macchine sulle pedonali – spiega Daniele Balsamo – la gente non capisce che questi enormi marciapiedi servono ai pedoni. Molti si ritrovano a fare lo slalom tra i muretti delle aiuole per arrivare con la macchina o con il motorino fino alla porta di un negozio o di una casa.”

A Gibellina Nuova però non tutti la pensano allo stesso modo. Voci fuori dal coro sono quelle di Michele Plaia, ex agricoltore di 77 anni, e del figlio Nino di 44 anni, che non rimpiangono il passato e sono soddisfatti della loro città.  “Qui noi ci troviamo benissimo – spiega Michele – se non ci fosse stato il terremoto sarebbe stato difficile andare in macchina dentro quelle strade strette e acciottolate.” Lui, che negli anni della ricostruzione militava nel Pci e appoggiava il sindaco Ludovico Corrao, fautore dei progetti di ricostruzione di Gibellina Nuova, ricorda che durante un’ assemblea un cittadino si alzò e disse che <<le case dovevano essere lontane, più lontane di un colpo di fucile>>. Qui ci muoviamo tutti in macchina – continua – le abitudini sono cambiate e se mia moglie deve andare dal parrucchiere, che si trova a 150 metri da casa, mi chiede di accompagnarla”. “Se a Gibellina Nuova non si sta più in strada – rincara la dose il figlio Nino – è perché non abbiamo più tempo, la grandezza delle strade non c’entra. Io non ho tempo di mettermi fuori a parlare con il vicino e le persone più anziane che potrebbero farlo spesso sono troppo anziane. Quelli che avevano quella cultura non ci sono più.”

Le strade di Gibellina Nuova sono un contenitore vuoto. In giro non c’è mai nessuno e si ha la sensazione di essere in un paese disabitato. “Il problema- conclude Nino Plaia – non sono le strade troppo grandi, è il paese a essere troppo grande. A Gibellina il 30-35% delle case sono seconde case mentre il 20-25% sono case vuote. Questo significa che il 50% delle abitazioni non sono abitate. E ovviamente la percezione che si ha è di essere in una città fantasma.”