Tre piazze vuote e nessun centro: la vita sociale è confinata nei circoli

Qualcuno la chiama piazza 14 gennaio, qualcun altro piazza 16 gennaio, altri semplicemente piazza del Comune. Ma almeno di questa piazza si ricordano. Se agli abitanti di Gibellina Nuova si chiede quante piazze ci sono in città, solo in pochi rispondono. I più anziani, di solito, aggrottano le ciglia e si fermano a contarle con le dita. “Di piazze qui ce ne sono tante – spiegano – il problema è che la gente non ci va”. Il terremoto ha sepolto la vecchia piazza e la mano degli architetti non è stata capace di ricostruirla. Nel paese nuovo gli urbanisti hanno realizzato tre piazze, ma nessuna è percepita come luogo di incontro. “I ragazzi il sabato sera si vedono nei locali – racconta Daniele Balsamo, 41 anni, insegnante – e gli anziani si ritrovano nei circoli”. Nelle piazze si sente solo l’eco dei passi di qualche sparuto passante e, in lontananza, il rumore di un motorino o di una macchina che sfreccia sulla strada. Poi il silenzio. La vita è altrove, in via Indipendenza. Un’anonima strada in cui hanno trovato alloggio i circoli, cuore della vita sociale nel paese vecchio.

La pianta urbana di Gibellina Nuova riproduce la forma di una farfalla: non ha un centro e si estende lungo le due ali dove si trovano le piazze . “Oltre a piazza 15 Gennaio 1968, data del terremoto che rase al suolo la città – spiega Enza Ienna, trent’anni,  laureata in Conservazione dei beni culturali –  ci sono il Sistema delle Piazze e piazza Joseph Beyus”. Enza è l’unica a ricordarsi della terza piazza, quella che prende il nome dall’artista tedesco, totalmente dimenticata dagli altri abitanti. Anche lei però ha qualche dubbio e per essere sicura ricontrolla la targhetta. Più famoso, invece, è il Sistema delle piazze. Ma soltanto perché in estate ospita il cineforum all’ aperto. Nell’ idea degli architetti Franco Purini e Laura Thermes, doveva essere una “cerniera” formata da cinque piazze. Ma ne sono state costruite solo tre. Enormi porticati e pavimentazione geometrica: se non fosse per i trattori che con rimorchio al seguito attraversano le strade, tra una piazza e l’altra sembrerebbe di essere nel quartiere romano dell’Eur o sotto l’arco della Defense a Parigi.

A pochi passi dal Sistema delle piazze si trova via Indipendenza, una strada come tutte le altre, quasi anonima, ma è qui che gli abitanti si incontrano. “Più che piazza direi che via Indipendenza è una strada”, precisa Ciccio Ienna, papà di Enza, ferroviere settantenne in pensione. “Noi anziani ci ritroviamo tutti lì. Non c’è niente di particolare ma il bar, il barbiere, la banca sono lì. E poi ci sono i circoli.”

Alle sei del pomeriggio, Ciccio Ienna salta sulla sua punto grigia e corre al circolo di via Indipendenza dove ad aspettarlo ci sono almeno 20 anziani. In ogni altro paesino dell’entroterra siciliano la scena sarebbe la stessa ma gli anziani sarebbero seduti in piazza e non nella stanza di un appartamento.
Lui vive a Gibellina Nuova da più di vent’anni e insieme alla moglie e ai figli è stato tra i primi gibellinesi sfollati a mettere piede nella città ricostruita. Ma, nonostante ciò, ancora oggi dice di sentirsi un ospite. “Qualche anno fa – racconta – ho riunito l’assemblea dei circoli e ho proposto di trasferirne le sedi nel Sistema delle piazze. La proposta è stata respinta: gli anziani non volevano lasciare via Indipendenza per spostarsi in un posto lontano e vuoto. Nelle piazze non c’è un richiamo né per i giovani né per gli anziani. Noi eravamo abituati a una piazza piccola ma in cui c’era tutto. Che dovremmo andarci a fare in una piazza in cui non c’è un bar, un tabacchi o un negozio?”
Al signor Ienna fa eco la figlia Enza: “Se esco vado a fare una passeggiata nei paesi vicini o, al massimo, vado in un pub. Nelle piazze di solito ci accompagno i turisti”. Enza è tornata a vivere a Gibellina Nuova dopo aver lavorato a Milano. Ama molto la sua città e le dispiace che piazze rimangano vuote.

Per Daniele Balsamo, invece, via Indipendenza è lo specchio della piazza scomparsa sotto le macerie. “E’ come se i miei genitori e quelli della loro generazione avessero voluto rubare un brandello di Gibellina per ricostruirvi la loro città”. Lui stesso, cresciuto tra le baracche e la città nuova, non riesce a dimenticare quel senso di smarrimento provato dai suoi genitori quando arrivarono a Gibellina Nuova. “Gli abitanti, disorientati da una città troppo grande e troppo diversa da quella in cui avevano vissuto, hanno voluto ricostruire il loro vecchio centro. Non so perché abbiano scelto proprio quella via – spiega – ma è significativo che non lo abbiano fatto in nessuna delle tre piazze.”
A sua madre, Antonietta Verde, ex insegnante di 78 anni, quando si parla di Gibellina vecchia  si illuminano gli occhi. Anche lei da giovane amava passeggiare in piazza, ma le regole delle società erano diverse. Per una donna era sconveniente andare in piazza da sola, così insieme ad altre ragazze aspettava con ansia la domenica, unico giorno della settimana in cui, andando in chiesa per la messa, passava per il centro.
Quando le si chiede cosa ne pensa delle piazze di Gibellina Nuova le confonde con i circoli: “la gente si incontra nei circoli, vanno tutti in via indipendenza”, spiega. Per lei la piazza è via Indipendenza.

Le piazze sono tali di nome ma non di fatto anche per chi fa l’architetto di professione, come Gioacchino De Simone, che considera Gibellina Nuova un esperimento mal riuscito. Lui appartiene a quella generazione di trentenni cresciuta senza l’idea di un corso principale in cui darsi appuntamento, di una piazza in cui incontrarsi per stare insieme. “Manca la gente che fa la piazza – spiega – i luoghi realmente percepiti come luoghi di ritrovo sono gli spazi tra le case in cui la gente si incontra o in cui giocano i bambini. Ma tutto quello che gli urbanisti hanno progettato per questa città definendolo come piazza di fatto non lo è. A portare la gente nelle piazze sono alcuni eventi come il cinema sotto le stelle o i tornei di calcetto. La gente ci va solo in queste occasioni”.
“A Gibellina vecchia la piazza era un luogo di incontro. Si trovava alla fine della strada maestra – racconta la madre Maria Verde, 62 anni – Lì c’erano la chiesa e il municipio. Nella città nuova, invece, la piazza non è un luogo di ritrovo. Non ci sono negozi, né punti di riferimento ed è per quello che la gente non ci va”. “Nel vecchio centro la piazza non superava i 300 metri quadrati – racconta Michele Plaia, ex agricoltore di 75 anni che negli anni della ricostruzione sostenne il progetto per realizzare una città moderna – eppure c’era tutto: il bar, il barbiere e i circoli”.

LA GENTE NELLE STRADE DI GIBELLINA VECCHIA/VIDEO

Nelle baraccopoli l’abitudine di incontrarsi in un luogo centrale era sopravvissuta. Ma quando gli abitanti dei due villaggi costruiti dopo il terremoto sono arrivati nella nuova città non sono riusciti a mantenerla. “Quando dissi al sindaco Corrao che ci avevano tolto la piazza – spiega Michele Plaia, 75 anni – lui mi rispose che avevamo una piazza, quella del Comune, grande 10 mila metri quadrati, per non parlare del Sistema delle piazze dove si può passeggiare quanto si vuole. Il problema è che le persone non ci vanno.”

Al centro della piazza del comune si innalza la torre dell’orologio di Alessandro Mendini. Fino a qualche anno fa, in alcuni orari prestabili, dalla torre risuonavano i canti popolari dei contadini e dei lavoratori della città vecchia. Era un modo per diffondere nella nuova Gibellina i suoni di un passato che si voleva mantenere vivo nella memoria della popolazione. Eppure da qualche anno il carillon è stato disattivato. “Il rumore di quella torre era insopportabile– racconta Enza Ienna – non ne potevamo più e abbiamo chiesto di spegnerlo”. Adesso la torre di Mendini è avvolta dal silenzio che domina su quella piazza in cui non si odono più i suoni del passato ma neanche del presente.

Quando arriva la primavera i più anziani preferiscono uscire dai circoli e passeggiare per via Indipendenza. Nessuno arriva fino al Sistema delle piazze. Ogni tanto qualche anziano si avventura fino alla piazza del Comune. Ma spesso si sente a disagio visto che i ragazzini l’hanno trasformata in un campo di calcio improvvisato.

Solo il figlio di Michele Plaia, Nino, sulle piazze la pensa diversamente dagli altri. “Il problema non nasce dall’ assenza di un centro ma da un  fatto culturale – spiega – qui ci si dà appuntamento e basta. Tanto sappiamo che se vuoi trovare qualcuno devi andare ai circoli o al bar Duemila”. La realtà che descrive, però, è identica a quella raccontata da un intero paese. “Piazza 15 Gennaio con la sua torre e le sculture di Consagra è una bella piazza. Ma la gente non ci va.”