Barattini, Canalini e Danesi: il marmo che parla carrarino
Pubblicato il 8/04/2014
CARRARA – Statuario, Venatino o Bardiglio, ma anche Zebrino o Calacata. Le varietà di marmo che si trovano sulle Apuane e che vengono commerciate in tutto il mondo sembrano infinite. Per i tanti blocchi che se ne vanno, ce ne sono alcuni che restano e vivono una seconda vita grazie all’abilità delle maestranze locali.
Franco Barattini, Bruno Canalini e Alberto Danesi sono tre carrarini molto diversi, con esperienze e competenze differenti, ma che coltivano lo stesso sogno: trasformare la più grande materia prima della città in una ricchezza.
Gli studi d’arte Cave Michelangelo sono il piccolo impero di Franco Barattini. “Ho iniziato a lavorare nelle cave da quando ero poco più di un bambino – racconta Barattini – amavo stare sulla montagna e da allora ho fatto tutti i mestieri possibili: filista, tecchiaiolo e anche lo ‘spartano’, cioè quello che comperava i blocchi e li ‘riquadrava’ per rivenderli”. Tra i suoi obiettivi c’è sempre stato quello di costruire un’azienda propria e con il tempo ha acquistato le Cave Michelangelo, le famose cave dove l’artista della Pietà sceglieva i blocchi da scolpire.
Oggi Franco Barattini ha messo in piedi una bottega d’arte dove il marmo viene lavorato a mano, applicando l’antica tecnica che usavano gli scultori. “Qua vengono artisti famosissimi, ci lasciano il bozzetto dell’opera e noi la realizziamo. Per me lavorano molti ragazzi che provengono dall’Accademia di Belle Arti di Carrara, dei veri professionisti”.
Anche l’incontro tra Bruno Canalini e il marmo è avvenuto quando lui era solo un bambino. Il nonno faceva lo scalpellino e il padre scelse di studiare alla Scuola del marmo. Il laboratorio dove lavora oggi è il frutto del lavoro della sua famiglia e ricorda, con orgoglio e un pizzico di nostalgia, quanto questa professione sia cambiata, pur restando una delle più appaganti.
“Siamo degli artigiani, realizziamo sculture, abbiamo contatti con diversi architetti, ma i lavori più richiesti sono lavandini, caminetti e cucine – spiega Canalini – nella nostra azienda siamo in pochi, non potrebbe essere altrimenti vista la crisi atroce che ha colpito le segherie e i piccoli laboratori della città. Negli ultimi anni ne sono chiusi a dozzine”.
Secondo Canalini la concorrenza è spietata: “Oggi sono andato a comprare il materiale che mi serviva e ho visto 20 o 30 blocchi tutti marcati da cinesi. Io ne prendo uno, loro quantità industriali. Si fermano solo quando finisce il piazzale dove è esposto il marmo. L’ultima trovata è quella di comprare il materiale grezzo, di lavorarlo per conto loro e di immetterlo nuovamente sul mercato di Carrara”.
Bruno Canalini ha un figlio di 10 anni che però non si avvicina molto al laboratorio: “Io alla sua età ero affascinato da questo mestiere, credevo che andare in cava fosse come girare in un negozio e prendere il vestito più adatto. Lassù è una magia: accompagnavo mio nonno che sceglieva il bianco, il venato, il blocco più scuro e da lì lo trasformava di volta in volta in scultura, in un ripiano da cucina, in un caminetto…”.
Alberto Danesi, a differenza dei suoi colleghi, non lavora in piano, ma ha un laboratorio-museo con un negozietto di souvenir proprio nel cuore della montagna, all’imbocco delle cave che si trovano nel bacino di Fantiscritti.
Il padre Walter, ex cavatore e appassionato di storia, aveva raccolto molti dei vecchi macchinari e degli strumenti che venivano usati per estrarre il marmo ed è così che è nata l’idea di fare un ‘museo a cielo aperto’ che ricostruisse le vecchie tecniche di lavorazione. “Non facciamo pagare il biglietto d’ingresso perché mio padre ha sempre voluto che questo patrimonio fosse visibile a tutti – racconta Danesi – io, mia moglie e i miei due figli che mi aiutano viviamo della rendita del negozio. Siamo gli unici a fare oggettistica in marmo interamente realizzata a mano nel nostro laboratorio”.
E se Alberto Danesi è critico contro un sistema di escavazione che è diventato incontrollato e che schiaccia le attività familiari come la sua, riconosce che la realtà delle cave in fondo è bella così com’è, con i suoi tanti difetti e contraddizioni.