Giovani, per alcuni lavorare nella cava è una scelta
Pubblicato il 13/04/2014
CARRARA - Ogni mattina alle 6.30, dal lunedì al venerdì, c’è un rituale che si ripete nel parcheggio vicino all’imbocco di via Foce, la vecchia strada che da Massa si arrampica fino a Carrara. Alcuni giovani colleghi si danno appuntamento mentre la città dorme ancora e saltano a bordo della jeep che li porterà nel loro ufficio: le cave di marmo.
Venti minuti di curve strette e salite perpendicolari. Ma ormai non ci fanno più caso, percorrere una stradina incrociando camion che a ogni mandata trasportano blocchi di 30 tonnellate, fa parte del loro mestiere. Sul ‘monte’ vale un codice della strada particolare, fatto di gestualità, intesa e qualche sporadica comunicazione radio.
Paolo Ricci ha 33 anni, vive a Massa ma è originario di Casette, paesino di 700 abitanti ai piedi della cava in cui lavora. Con molti altri coetanei e colleghi più anziani – in tutto i lavoratori sono una novantina – è occupato in cooperativa, forma societaria che si è sviluppata accanto a quelle individuali e di capitali. “In cooperativa mi sento più tutelato che non alle dipendenze di un padrone che impone ritmi e condizioni di lavoro – racconta Paolo – così ho la possibilità di crescere e fare carriera dentro l’azienda. Attualmente sono addetto alla macchina a filo diamantato, che serve a sezionare il blocco, ma l’obiettivo è quello di diventare, un giorno, capo della mia area. Sto già dando una mano nelle mansioni”.
“Sono in Cooperativa Gioia dal 2006 – continua Paolo – però faccio questo mestiere da 13 anni, da quando ero poco più che ventenne. La mia è una passione che nasce da lontano: il mio babbo, mio zio e anche mio nonno erano cavatori e io non mi sarei immaginato in nessun altro luogo se non quassù”.
Alle 12 è il momento del pranzo e il gruppo si ritrova per andare a mensa. “Il pasto è un appuntamento speciale – spiega Paolo – è come stare in famiglia. Il rapporto che si crea con i colleghi è di fratellanza e fiducia. Mentre lavoriamo quello che si trova nella bancata di sotto non vede cosa succede sopra di lui. Un errore di una persona può mettere in pericolo anche te, per questo dobbiamo contare l’uno sull’altro”.
Paolo due anni fa si è sposato e sua moglie sta in ansia ogni giorno: “È un lavoro duro: sei esposto al freddo più nero d’inverno e al sole accecante d’estate, in più stai sempre dentro il fango. Però amo quello che faccio, la montagna è il mio pane e cerco di sfruttarla rispettandola”.
Il lavoro di cavatore è pagato in media 1600 euro al mese, ma con gli straordinari non è difficile arrivare ai 2000.
Giacomo dell’Amico di anni ne ha 22 e fa il cavatore da appena sei mesi. Il tragitto per lui la mattina non si ferma nella cava Gioia, ma prosegue fin sopra Fantiscritti, nell’azienda Fiordichiara. “Mio padre è in pensione – racconta Giacomo – ma è da lui che mi è venuta la voglia di avvicinarmi al mestiere. Per noi giovani non ci sono molte alternative, avere uno stipendio ogni mese è diventata un’utopia per la maggior parte dei miei coetanei”. Giacomo aveva sempre vissuto questo mondo da lontano e racconta di essersi sentito piccolo la prima volta che è entrato nella cava in galleria in cui lavora: “Ho realizzato di essere nelle viscere di una montagna, un luogo da togliere il fiato. Ora non ci penso, è come essere a casa, ho un tetto sopra la testa”.
E come Paolo e Giacomo, tanti altri ragazzi della terra dura di questa provincia di Toscana.