L’impatto dell’escavazione: le quattro criticità principali
Pubblicato il 8/04/2014
CARRARA – Estrarre marmo dalla montagna significa modificare un ecosistema, cambiare i tratti del paesaggio e incidere, anche in maniera pesante, sulla struttura geomorfologica dell’ambiente apuano. Esistono evidenti criticità legate all’attività di cava, ma anche alcuni miti da sfatare.
Il dottor Antonino Criscuolo, geologo del Comune di Carrara, ha individuato i quattro aspetti che occorre tenere sempre sotto controllo, spiegando quanto è stato fatto e quanto ancora occorre fare per ridurre al minimo l’impatto di un’attività comunque distruttiva.
La torbidità delle acque
“In città ci sono quattro bacini estrattivi – spiega Criscuolo – che corrispondono alle quattro valli che convergono tutte sul centro storico di Carrara: Pescina Boccanaglia, Torano o Ravaccione, Miseglia o Fantiscritti e Colonnata. L’acquedotto comunale che rifornisce le case dei cittadini si approvvigiona alle sorgenti idropotabili del bacino di Torano”. Le sorgenti si trovano a contatto tra uno strato di marmo e materiali impermeabili. L’acqua raggiunge le sorgenti attraverso due falde: una di fondo che deriva da tutte le acque che penetrano nei calcari e nelle dolomie con cicli temporali annuali e una che invece penetra nelle vicinanze delle sorgenti in tempi di poche ore.
“Proprio questa seconda falda più rapida e incontrollabile – continua Criscuolo – comporta il problema della torbidità delle sorgenti. In certi momenti, infatti, arrivano nella sorgente grandi quantità di ‘marmettola’ che rendono torbida l’acqua e quindi impossibile da immettere nell’acquedotto”. La marmettola è la polvere di marmo derivante dall’estrazione e dalla segagione del materiale lapideo e secondo quanto denunciato in un rapporto a cura di Gigliola Ciacchini, responsabile del dipartimento Arpat di Massa-Carrara, è un agente inquinante. “Malgrado non costituisca un serio pericolo per la salute pubblica – scrive la dottoressa Ciacchini – la marmettola è responsabile di un grave impatto biologico sui corsi d’acqua apuani: si deposita sul fondo dei fiumi e dei torrenti distruggendone i microambienti e disturbando l’insediamento di organismi”. Un ulteriore pericolo per le sorgenti, sempre secondo l’Arpat, è quello della presenza di idrocarburi, in particolare olii provenienti dalle macchine di lavorazione delle cave.
Frane e alluvioni
Un altro elemento di cui occorre tener conto è il pericolo frane. “A differenza di quanto si pensi – afferma il dottor Criscuolo – frane di crollo in montagna negli ultimi anni non ci sono state. I fronti di cava infatti sono tenuti costantemente sotto controllo ed è stato fatto tanto. Il problema oggi è legato molto di più alla sicurezza dei versanti, soprattutto quando si verificano episodi alluvionali, ormai sempre più frequenti. Quelli più a rischio sono i versanti sottoposti a stoccaggio dei materiali detritici, cioè a quelli che erano chiamati ‘ravaneti’, una sorta di discarica delle cave. I ravaneti del passato e anche quelli del presente sono costituiti da sassi più o meno grossi, ma anche da una frazione fine”.
Secondo il geologo il pericolo è rappresentato proprio dalle terre più fini perché, con violenti scrosci d’acqua, è possibile avere il fenomeno dei colamenti di fanghi chiamati debris flow che nel passato hanno investito parecchi versanti arrivando fino al fondovalle e alle strade comunali. Per limitare al massimo il rischio è stata imposta una prescrizione che prevede l’asportazione completa dei detriti. “Possono ancora esistere episodi locali di stoccaggio eccessivo – aggiunge Criscuolo – ed è per questo che la realtà delle cave va monitorata in maniera costante ed è necessario intervenire tempestivamente per la messa in sicurezza dei versanti”.
La canalizzazione delle acque
Una forte criticità che secondo il dottor Criscuolo rimane e che riguarda la regimazione idraulica è la canalizzazione delle acque provenienti dalle cave e dai fondovalle, soprattutto quando si presentano forti piogge. “Ci sono dei progetti – spiega il geologo – però siamo ancora lontani da una soluzione. Ancora adesso parecchi tratti dei fondovalle che appartengono ai quattro bacini estrattivi non sono dotati di canalizzazioni sufficienti per contenere tutte le acque che possono piovere e questo in certi momenti può rivelarsi molto rischioso”.
L’impatto paesaggistico
Tra tutte le criticità la più evidente perché immediatamente visibile riguarda l’impatto che l’attività estrattiva ha sul paesaggio. “Sul marmo – sostiene Criscuolo – che è un calcare puro al 99%, è quasi impossibile la formazione di suoli perché l’acqua penetra dentro e quindi non si forma vegetazione. I versanti sono quindi detti ‘nudi’ e si alternano ad altri versanti ricoperti di boschi. Tutte queste aree sono intaccate dai fronti di cava di escavazione a cielo aperto e appaiono come tagliate di netto”.
Altro elemento morfologico impattante sono i ravaneti, cioè l’accumulo di detriti che specialmente in passato ricoprivano intere valli. “Con l’obbligo di portar via i detriti oggi l’impatto dei ravaneti è minore – sostiene Criscuolo – in certi casi però si è andati a portar via tutto il ravaneto pensando di fare un bene per il territorio. Non sempre questa però si è rivelata un’arma efficace, anzi, il ravaneto costituisce anche un’enorme spugna per tutte le acque piovane che scendono sul versante e con la sua presenza le tratteneva e in qualche modo faceva da ostacolo rallentandone la discesa verso il fondovalle”.
L’impatto visivo, per quel che riguarda crinali e vette, rimane. “Bisogna però tener conto anche dell’eredità storica dei bacini di Carrara – conclude il geologo – i ravaneti e i fronti di cava sono una realtà del paesaggio stesso che è in continuo mutarsi. Ciò non vuol dire che in futuro non dovremmo fare una maggiore attenzione a quelli che sono punti salienti come certe cime dei monti, ad esempio il monte Torrione, o a certi crinali che ancora adesso si conservano vergini per la presenza di materiali marmorei di minor pregio”.