Vi racconto la mia Asinara
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Cala
d'Oliva |
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«Vivevo
di fronte al mare»
"Il paesino era piccolo ma in fondo io ci stavo bene. In un attimo si scendeva a mare o si andava in campagna. Ci si conosceva tutti, si era una grande famiglia". Quando si va a visitare l’Asinara, generalmente la barca che parte da Stintino arriva a Fornelli, località a sud dell’isola, chiamata così dal nome della diramazione carceraria che c’era sino al 1998. Da Fornelli, per arrivare a Cala d’Oliva, è necessario prendere una macchina, per percorrere una ventina di chilometri di strada, l’unica cementata in tutta l’isola. Dopo un’ennesima curva si vede un paesino pieno di case bianche, se ci si ferma le si possono contare, tanto sono poche. È Cala d’Oliva, un paesino che a prima vista sembra disabitato, perché deserto e avvolto dal silenzio. Sessant’anni fa quelle case e quei gradini mezzo corrosi dal vento, che da queste parti soffia forte, erano calcati da una piccola colonia di famiglie partite dalle loro città e venute all’Asinara solo perché il padre o il marito aveva scelto di essere guardia carceraria o direttore del carcere. Cala d'Oliva è sempre stata, da che l'isola è diventata colonia penale, l'unica frazione del carcere ad essere abitata.
"Io vivevo - dice Giacomo - in una casa di fronte al mare, il vento la notte batteva forte ma di giorno scendevo le scale ed ero sulla spiaggia". Una città con un unico negozio, lo spaccio, in cui comprare tutto, dai generi alimentari ad articoli di cartoleria. Lo spaccio era un capo del filo che legava l’Asinara alla Sardegna. Era per rifornirlo, infatti, che una corvetta faceva la spola da Porto Torres a Cala d’Oliva una volta alla settimana. Ed era in quella occasione che si poteva approfittare per scendere “in città”, in Sardegna.
“In realtà non si era sempre sicuri di poter partire, perché tutto dipendeva dal mare. Ricordo che un anno io e mia madre fummo costretti a restare a Porto Torres perché il tempo era brutto e non potemmo tornare all’Asinara. Era il giorno di Natale”.
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