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«Eravamo felici in quell'isola»
La vita molto particolare di una famiglia qualsiasi

Famiglia Cabras
La famiglia Cabras a Cala Sabina

“Quando vado a dormire, prima di addormentarmi, mi viene ancora in mente la mia vita all’Asinara. Mi ricordo la mia infanzia in quest’isola, le mie giornate trascorse tra famiglia e amichetti in totale libertà”.Sembra difficile immaginare che un bambino possa vivere liberamente in un’isola in cui la maggior parte degli abitanti sono detenuti. Eppure Giacomo Cabras viveva come un bambino normale. Anzi, ancora più libero.

La storia di Giacomo è quella di un uomo che ha vissuto quindici anni della sua vita in un’isola carcere, una storia semplice eppure singolare. Giacomo Cabras oggi ha 63 anni, è sposato, ha due figli ed è già nonno. Vive vicino a Cagliari. Ha dovuto aspettare quarantaquattro anni prima di poter tornare all’Asinara e rivedere i luoghi della sua infanzia. Ma non è tornato certo per rinfrescare la memoria. I suoi ricordi sono vivi e nitidi, e, mentre racconta, vengono fuori come se appena vissuti.

Quando Giacomo è arrivato all’Asinara era il 1941. Aveva tre anni quando in braccio alla mamma ha raggiunto il papà, che già lavorava nel carcere dell’isola. Era troppo piccolo per sentire la differenza rispetto a Quartu Sant’Elena, una città a pochi chilometri da Cagliari, dove era nato. Allora Quartu era un piccolo paese, ma era pur sempre abitato da tante famiglie, soprattutto di agricoltori, ed era movimentato.

L’Asinara, invece, era un’isola selvaggia, con poche case e molti casermoni con le sbarre alla finestra. Quindici anni dopo si sarebbe reso conto di quanto l’Asinara era un mondo a sé stante, quando sarebbe tornato a Quartu per viverci definitivamente. Come tutti i bambini, Giacomo stava poco a casa. I genitori lo lasciavano scorrazzare per la campagna o il paesino senza paure. Molte volte per le strade potevano esserci anche detenuti, che nell’isola lavoravano come sarti, calzolai, agricoltori.

Eppure c’era da stare sicuri: la sorveglianza lungo le coste e all’interno dell’isola era massiccia, con guardie a cavallo che vigilavano giorno e notte, e c’erano forse molti meno pericoli che in un qualsiasi paese “normale”. La maggior parte del tempo libero era dedicato alla pesca, al mare, a rincorrere gli animali.

“A casa mangiavo, facevo i compiti e dormivo. Il resto del tempo la mia casa era l’isola”. E a casa rimaneva la madre, che doveva accudire sei figli, quattro maschi e due femmine, nate proprio sull’isola. I fratelli di Giacomo non hanno, come lui, un ricordo nostalgico dell’Asinara. “Non si sono mai trovati tanto bene - dice Giacomo - e non hanno sofferto quando siamo andati via dall’isola”.

Corridoi del carcere
Un corridoio del carcere di Fornelli

Il padre, Salvatore, faceva l’agente di custodia carceraria. Giacomo andava a trovarlo spesso, era divertente per lui passeggiare nei lunghi corridoi bui del carcere e guardare dentro le celle che cosa facessero i detenuti.

Non era così strano, per Giacomo, che il padre facesse come lavoro il “guardiano” dei detenuti. D’altronde lì sull’Asinara gli uomini o erano detenuti o erano guardie. Giacomo non conosceva altre realtà.

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