La casa è mia e la gestisco io

Il Buon Pastore in via della Lungara

Nessun cartello vieta l’ingresso agli uomini, ma per consuetudine, si sa, l’altro non è gradito. Dell’imponente edificio in via della Lungara si riconosce subito la statua del Buon Pastore, posta sopra l’austero portoncino d’entrata. Accanto una targhetta verde e bianca annuncia: Casa internazionale delle donne.

Dentro, una reception in legno chiaro sommersa da centinaia di volantini, calendari di conferenze e manifesti di incontri al femminile. Alle pareti volti di donne, disegni di corpi sinuosi e fotografie di manifestazioni a favore delle figlie di Eva.

Il corridoio dalle ampie volte introduce il visitatore nei meandri della Casa: come in un labirinto si moltiplicano decine di porte bianche. Così al primo, secondo e terzo piano. Per fortuna ci sono le insegne sulle ante: ambulatorio ginecologico, sportello immigrate, consultorio giuridico, studio psicologico etc. In tutto una cinquantina di associazioni “in rosa”, strettamente riservate.

Qualche uomo passeggia spaesato nei lunghi androni ottocenteschi. Forse cerca l’aula di un seminario o semplicemente accompagna l’amica o fidanzata che sia.
Aurora
, detta anche la “fondamentalista”, fa finta di non vederlo. Lei, che con i suoi capelli color argento dispensa informazioni a tutti, borbotta: “Gli uomini non dovrebbero entrare qui, lo sanno. La Casa rischia di perdere la propria identità – rincalza, mentre le si accendono gli occhi vivi e profondi – sono ospiti qui dentro”.

Un "ospite" sulla porta della sala conferenze

L’”ospite” sbuca in giardino dal portone vicino alla sala conferenze. Come d’incanto appaiono magnolie centenarie, palme tropicali e un porticato che, per dimensione e disposizione, ricorda il chiostro del convento.

Sotto l’arcata principale si nasconde la “Libreria delle donne”, che dai suoi scaffali colorati raccoglie i testi sacri del femminismo, saggi scritti da donne, ma anche da autori maschili.

Nel giardino intanto si spandono gli odori delle cucine: a “Bio e te”, una piccola bottega biologica, stanno sfornando dolci e menù vegetariani squisiti; al ristorante “Luna e l’altra”, si preparano le pietanze per il pranzo, dal quale, da un anno a questa parte, non sono del tutto esclusi i palati maschili.

Qui, dove la sera si alza la zona protetta per signore, sopra i tavolini da bar, nei quali pasteggiano chiacchierando animatamente gruppi di donne, si staglia sull’intera parete la locandina di un 8 Marzo anni ‘60, dietro ai vassoi self-service spunta il manifesto di Rivolta femminile, lungo la scia di melanzane e pesce alla griglia si intravede un ritratto di Virginia Woolf.

Non c’è uomo che tenga, invece, alla foresteria “Orsa Maggiore”, nella quale il divieto per il moderno Adamo vige costantemente. Nell’ostello di lusso, ricavato dalle celle del convento, pernottano solo signore. Il ritratto di Simone de Beauvoir dà il benvenuto alla pellegrina errante, spesso straniera, mentre compie gli ultimi passi verso l’accettazione.

Picchetto femminista

In un altro luogo, meno visibile dei precedenti, si respira un’aria fatta di interminabili riunioni politiche e bivacchi femministi: è la sede del Cfs (Centro femminista separatista), ex ristorante Benito e poi Le sorellastre. Si accede da via San Francesco di Sales.

“Da noi gli uomini non mettono piede – ribadisce senza esitazione la romagnola Giovanna Olivieri, responsabile degli Archivi lesbici italiani (Ali) e testa del Cfs – trovano il divieto discriminatorio, forse perché sono abituati ad avere accesso ovunque”.


“Perché farli entrare? – tuona dall’Affi (Associazione federativa femminista internazionale) la sua presidente, Edda Billi – loro hanno il mondo. La casa degli uomini è tutto: il Parlamento, i tribunali e così via”.
La sua voce roca, probabilmente dovuta al tabacco che rulla senza sosta, rincalza: “Ho sempre sognato una casa del femminismo – dice con la grinta che l’ha sempre contraddistinta – dove davvero la donna avesse la possibilità di esistere al di là delle pari opportunità. Questa oggi è la casa dell’associazionismo femminile”.

 

 

 

 

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