Rosee schiarite all’orizzonte: dal
Foglio alle associazioni
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La biologa Simonetta Tosi |
Donne di destra o
di sinistra non fa più differenza. Presto, anche gli uomini
potrebbero prendere parte all’attivismo femminista. “Perché
no? – si chiede Marina Pivetta, direttrice
del Foglio
del paese delle donne – stiamo pensando ad un rinnovamento
del nostro quindicinale”.
Carta da giornale rosa confetto e formato tabloid sono la formula
vincente che il Foglio del paese
delle donne (per comodità Foglio rosa) adotta
da quasi un ventennio. “Occorre
un’informazione più attenta, capace di dar voce ai
bisogni reali delle persone – continua la “direttora”
- uomini o donne che siano”.
Poco tempo fa sono stati rimessi in discussione i contenuti della
testata (nata negli anni ‘80 come inserto indipendente di
Paese Sera): si è deciso di dare più spazio
alle donne di destra e, cosa impensabile anni fa, rivolgere
più attenzione ai colleghi maschi.
Il femminismo,
da sempre radicato nella cultura di sinistra e noto per la sua
corrente separatista, è pronto a cambiare.
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Al ristorante Luna e l'altra |
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L'entrata in via San Francesco
di Sales |
E del resto l’impegno
di una “politica” come Alessandra Mussolini,
molto apprezzata in via della Lungara, è l’esempio
di una lotta che si può combattere su entrambi i fronti.
“No women, no parties”, è
stato il suo motto per l’ottenimento delle quote rosa. Agli
uomini, probabilmente, non sarà riservato un ruolo attivo,
ma la loro partecipazione potrebbe portare ad una svolta.
Come Il Foglio
Rosa, anche altri intendono rivolgersi ai figli
di Adamo. Alcune associazioni (sono oltre 50) si chiedono se vale
la pena tagliare fuori completamente il pubblico maschile. Perché
lo sportello immigrate (Candelaria) non si occupa
anche degli immigrati?
Ci sono tanti posti
in cui gli uomini hanno accesso – rispondono le
femministe più accanite. Intanto l’”ospite”
può assistere alle conferenze, frequentare il ristorante
e il bar. É già qualcosa.
Il nocciolo del Consorzio,
creato per gestire la casa, è formato dall’associazionismo
femminista degli anni caldi (Affi e Cfs), nel quale sono confluite
le rappresentanti dei vari servizi.
Femministe costrette a diventare imprenditrici di se stesse per
far quadrare i conti. L’affitto versato ogni mese
al Comune di Roma, proprietario del complesso
del Buon Pastore dagli anni ’40, è di 7mila euro.
L’affitto di uno stanzone è di 100 euro al mese.
Da uno di questi esce una donna
brasiliana, Dinah, cinquant’anni
portati meravigliosamente, uno sguardo fiero e un’energia
forte: “Questa è la Casa internazionale delle
donne. Mi piace perché è internazionale;
ho vissuto in 10 paesi diversi – racconta – mi piacciono
le diversità delle culture”. Secondo Dinah, che ha
da poco asciato il marito, “la donna non deve lavorare
per l’uomo, ma aiutarlo”.
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Gli striscioni in via della Lungara
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“Rifiuto
con forza il concetto di separazione – afferma
Rosalba Ierace, dell’ufficio Pari opportunità
del Comune – non si può vietare agli uomini di entrare
nella Casa, si può dire semmai che in questo luogo
si privilegia la cultura femminile”.
“Le donne amano il proprio nemico –
spiega con voce rotta Edda Billi - questo è
stato il più grande ostacolo delle battaglie femministe.
La donna ama il proprio
marito, il proprio figlio maschio, fratello, padre, cugino. Di
giorno combattevi, la notte uscivi dalla trincea e riponevi il
fucile – continua – andavi a dormire con il nemico
e magari ci facevi anche dei figli, che erano maschi e avresti
amato tantissimo”.
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