Segnali di fumo per le emergenze

 
Intanto sull'isola ...
Carta d'identità di Millo e Mimma
 
 

 


 

 

 

 

L’isola di Montecristo l’avevano vista solo all’orizzonte, quando il tempo era bello. Era lo scoglio impraticabile e nascosto, di solito, dietro un velo di foschia. Ma questo non importava a Millo e Mimma Burelli. Appena sposati e in cerca di lavoro, hanno accettato subito, con l’incoscienza di chi è giovane, l’impiego di custodi di quella piramide di granito, disabitata in mezzo al mare. E con loro è iniziata la “stirpe dei guardiani”, il 6 gennaio del 1956. La solitudine era solo una delle difficoltà che un paradiso in terra come quello poteva nascondere. Le altre Millo e Mimma, che allora avevano appena 25 e 28 anni, impararono anche troppo presto a conoscerle.

“Avevamo portato poche cose – dice lei con lo sguardo di chi sembra rivivere quei momenti - perché mia madre e il suo secondo marito dovevano raggiungerci con un bastimento carico di viveri e del necessario. Invece le burrasche e la nevicata che seguì a febbraio, ruppero qualsiasi contatto tra noi e la terra ferma. Non avevamo niente per comunicare, eravamo del tutto isolati. E mentre – lo sapemmo dopo – alla radio ci davano per dispersi, fino a marzo abbiamo continuato a mangiare pasta condita con aglio e olio e quel poco di carne di uccelli che riuscivamo a prendere con le tagliole”.
Per un anno intero sono rimasti senza luce e senza telefono. Non avevano radio, né televisione. Né frigorifero e riscaldamento. La sera, Millo e Mimma accendevano le lampade a gas di carburo. “Facevano un gran fumo - dice lei divertita – e dopo poco il viso diventava tutto nero”. Non avevano nessun mezzo per tornare a riva e l’unico modo per chiedere aiuto erano i segnali di fumo. Ecco perché era importante la loro amicizia con i pescatori che si fermavano nella cala.

Unico conforto, i pescatori
All’inizio i pescatori erano diffidenti. I guardiani li chiamavano dalla riva ma loro non rispondevano, si nascondevano. Solo dopo diversi mesi Millo è riuscito ad avvicinarli. E da quel momento (dopo un anno hanno ottenuto un piccolo generatore per la corrente, una radio, e la tv) sono stati per loro dei buoni amici, ma soprattutto, un punto di appoggio per ogni necessità. Erano il loro unico filo diretto con la terra ferma. La loro “ambulanza” per le emergenze, il loro “corriere” per comunicare con i parenti rimasti all’Elba.
“Ci sarebbero tanti episodi da raccontare – dice Mimma. Con la fronte corrugata e gli occhi concentrati, sembra ripercorrere veramente quei momenti -” . “Nostro figlio Franco – continua – aveva la febbre alta. Non sapevamo come fare e in preda alla disperazione abbiamo chiamato un pescatore. Soffiava forte il Grecale, la barchetta sobbalzava tra le onde. E’ stato un viaggio tremendo, ma senza di lui non lo avremmo salvato”. E con la stessa commozione racconta di quando, un 24 dicembre, babbo natale arrivò dal mare anziché sulle renne. Ma i pescatori erano anche i loro postini: recapitavano lettere e messaggi ai parenti rimasti all’Elba. E sempre a loro si rivolgevano per avere un po’ di carne fresca.

I Burelli facevano la spesa solo una volta l’anno, ma, non avendo frigorifero, potevano comprare ben poco. “Montecristo insegna l’arte di arrangiarsi – dice Millo con soddisfazione – adesso non mi fa più paura niente. Ho imparato a sfornare pane fresco e a fare l’agricoltore. Avevo portato galline e piccioni che in poco tempo si sono moltiplicati. Avevo piantato viti a pergola, aranci e peschi e avevo un piccolo orto tra la casa e la villa reale. Insomma non ci mancava niente. Nemmeno la solitudine ci spaventava”. “E poi tanto soli non eravamo – lo interrompe la moglie – in casa avevamo addomesticato una capra, un muflone e due cani”.


 

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