Una
chiamata oltre le stelle
La storia vocazionale di don Valfredo Zolesi
“Perché
sono diventato diacono? E’ stata la conclusione di un
cammino iniziato molti anni prima, quello che è certo
è che non è stata un’altra medaglia
da mettere sul petto”. Sgombra il campo da
ogni equivoco Valfredo Zolesi.
“Questa figura nella
Chiesa è l’icona di Cristo servo, strumento di
servizio per gli altri, quindi senza alcun potere. Forse è
proprio per questo che nei secoli se ne erano perse le tracce”.
Valfredo ha da sempre frequentato
la parrocchia, l’incontro stesso con la moglie Nunzia
è avvenuto nei locali di un oratorio livornese. Prima
l’esperienza di animazione di gruppi giovanili, poi
la svolta nei primi anni ’80 che lo portò a diventare
capo-scout. Furono gli anni decisivi per la maturazione
del senso del servizio che lo convinsero ad accettare
la proposta del cammino diaconale.
“Il
diaconato è un ministero che si fonda sul sacramento
del battesimo e, per gli uomini sposati, su quello del matrimonio,
la moglie, infatti, deve essere consenziente e partecipare
alla formazione. Il diacono è una specie di un ponte
tra altare e popolo di Dio. E’ una scelta di
vita che unisce aspetti laici con altri appartenenti al clero”.
Nel maggio del 1991, per
la festività dell’Ascensione viene ordinato diacono.
Prima il servizio in una parrocchia e poi l’incarico
mantenuto per 10 anni di guida della commissione diocesana
per la pastorale giovanile. “Un’esperienza
bellissima che mi ha cresciuto e della quale serberò
per sempre i momenti più belli” confessa Zolesi.
Nel 1996 la svolta. La parrocchia
di Nibbiaia, un piccolo paese sulle colline livornesi rimane
senza presbitero residente, da qui la proposta del vescovo
di divenirne amministratore parrocchiale. “Era
un’esperienza pionieristica al tempo. Un laico a capo
di una comunità. Con l’onere e l’onore
di battesimi, funerali e celebrazioni varie come un qualsiasi
prete, ma con una famiglia a casa e un lavoro in ufficio.
Fu un’altra chiamata e un altro sì”.
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