imane in piedi mentre racconta Alessandro Alessandrini, detto “el falc”, il falco. Ha fatto un lavoraccio per più di 50 anni e ora che lui ne ha 83 racconta la sua storia con orgoglio e un po' di nostalgia.

"Si partiva la mattina presto, quando era ancora buio, si mangiava qualcosa seduti sul carretto e poi la sera, quando era di nuovo buio si tornava a casa. Eravamo una sessantina in tutta Fano. Chi arrivava dalla periferia di Fano, chi da Pesaro, chi dai paesi lungo il fiume.”

La legge regionale sulle attività estrattive. Due anni di lavoro per riempire un vuoto vecchio di 30 anni

Era un lavoro in due tempi: il mulo trascinava il carro fino al punto dove si poteva caricare. Mentre si riposava, il carrettiere con la pala buttava la ghiaia sul biroccio. Poi, mentre il mulo trainava, era il carrettiere a riposarsi sul carretto.

 


Il “biruciar”, come lo chiamavano i fanesi, tra gli antichi mestieri della valle del Metauro, era uno dei più faticosi.

ascolta audio

Era una specie di lavoro di squadra. Tutti i carrettieri si mettevano in fila. Si vagliava e si metteva tutto sul carro. Se non si riempiva il biroccio in una volta sola, si tornava indietro. Si procedeva uno dopo l'altro, così era più facile spostarsi. Il primo che faceva la “ramata” cioè il primo vaglio della ghiaia, apriva un varco in mezzo alla montagna di sassi che spesso sprofondava sotto i piedi. Il luogo dove si raccoglieva più ghiaia era dalla foce del fiume in su. Piano piano. Si vagliava il sabbione, il breccino e la ghiaia.

ascolta audio

È trascorso più di mezzo secolo da quando Alessandro Alessandrini caricava ghiaia sul suo carro. E nel frattempo le cose sono cambiate. O meglio, di quello che lui carivaca non c'è rimasto praticamente più nulla.

Dopo la guerra c'era bisogno di risistemare, ricostruire e, si sa, dalla zona del bersaglio vicino alla foce del Metauro fino al porto quella volta di ghiaia ce n'era tanta.

Gli americani e i canadesi, attraversata la linea gotica e liberata anche Fano, lasciarono dietro di sé alcuni automezzi pesanti che qualcuno della gente del posto comprò a buon prezzo. “li facevano risistemare dai meccanici della zona” racconta “el Falc”.

ascolta audio

Grazie ai nuovi automezzi, il lavoro del “Biruciar” diventò tutto d'un tratto obsoleto. Le strade dovevano esser asfaltate. La popolazione in aumento richiedeva nuove abitazioni. Lo sviluppo non poteva arrestarsi o mantenere i ritmi del mulo e del badile.

Ma la ghiaia della marina, cioè quella trasportata dalla corrente del fiume e riportata a riva dalle onde del mare non durò molto, anzi finì quasi subito. E allora si è cominciato a risalire il fiume, non troppo lentamente.

ascolta audio

Con l'avvio dell'estrazione su scala industriale sparì la ghiaia della marina e con l'apertura delle prime cave si cominciò a scavare persino dentro il fiume. Chi tentò la via delle cave trovò la fortuna, chi rimase attaccato al suo carretto ne conserva oggi solo il ricordo. E Alessandrini lo spiega bene perché. Per i carrettieri, i buruciar di Fano, non c'era più niente da spalare, più niente da trasportare.

ascolta audio