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sono voluti trent'anni per avere nelle Marche una legge che regolamentasse
il complesso delle attività estrattive. E chi ha deciso di
scriverla non ha affrontato un lavoro semplice.
Insieme a quella legge fu steso
il primo Piano Regionale delle attività Estrattive
che la Regione Marche avesse mai visto.
La Storia del vecchio mestiere
del carrettiere, quando le cave di ghiaia ancora non
esistevano
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Furono stabilite, aree, quantità,
modalità di coltivazione. Furono studiate e stimati i trend
evolutivi della attività in base ai quali le singole province
potessero poi scrivere i propri Programmi Provinciali, che rappresentano
la fase in cui le amministrazioni provinciali decidono esattamente
dove mettere i poli estrattivi per i successivi dieci anni e quanto
estrarre da ogni polo.
“Tutti avevamo voglia di confrontarci
con questo tema” spiega Maria Cristina Cecchini,
presidente nel 1997 della commissione ambiente del consiglio regionale
delle Marche.

Maria Cristina Cecchini, Presidente della Commissione Ambiente della
Regione Marche nel 1997
Prima di quella data la legge era
confusa. Tutto si rifaceva a un vecchio decreto regio dell'inizio
del ‘900 e dietro la “strategicità” del settore estrattivo
per lo sviluppo del paese si sono nascosti anni di sfruttamento
del territorio, secondo molti irresponsabile.
“Tutti si aspettavano che la legge
non sarebbe passata” sorride la Cecchini. “Noi poi pensavamo che
ci avremmo messo poco a scriverla, invece ci abbiamo messo più
di due anni.
Quali sono stati i motivi
che vi hanno rallentato?
Innanzi tutto perché la questione era molto complicata.
Non si voleva affrontare il tema ingenuamente. Volevamo capirci.
E alla fine ci abbiamo messo due anni e mezzo. Poi c'è stato
l'ostruzionismo di una parte politica che era appoggiata dai cavatori.
Le pressioni delle associazioni degli industriali che rappresentava
gli interessi dei cavatori.
Perché speravano
che la legge non passasse?
Perché i cavatori fino a quel momento avevano potutto
fare più o meno come volevano, senza rispetto per i vincoli
ambientali e senza che esistesse un vero e proprio mercato.
Con questa nuova legge noi volevano
stabilire criteri univoci in base ai quali non fosse possibile scavare
ovunque. Volevamo definire aree dove non era possibile scavare.
Nelle restanti, superata la procedura di Valutazione di Impatto
Ambientale chiunque avrebbe potuto aprire una cava.
E le quantità di
ghiaia estratta?
Noi abbiamo definito degli standard in base a quanto ci
fu comunicato dal distretto minerario di Bologna. Erano dati ufficiali,
eppure tutti i cavatori delle Marche protestarono. In realtà
fino a quel momento le quantità dichiarate erano sempre inferiori
al vero, perché i cavatori non fatturavano tutto. E controllare
che la quantità di ghiaia utile in banco, cioè quella
che precede la lavorazione, corrispondesse ai quantitativi consentiti
era molto difficile.
Ma oggi i controlli sono
più frequenti? I rischi di sfruttamento del suolo più
remoti?
Teniamo presente che alla Regione Marche ci sono oggi più
ingegneri, geologi e geometri che mai. Per molti motivi tra cui
anche il terremoto del '97 sono stati chiamati molti tecnici, successivamente
assunti che oggi possono fare molte più valutazioni che in
passato.
Quindi se le valutazioni preliminari si vogliono fare, oggi si possono
fare anche meglio di prima. Se il meccanismo non funziona è
solo per una mancanza di volontà politica di farlo funzionare.