Luigi non fa parte di nessun comitato a favore del ponte. Non sa neppure bene dove sorgerà. Dice di supporre che lo costruiranno proprio a due passi da casa sua e di aver sentito dire che i lavori dovrebbero iniziare alla fine del 2006. I suoi vicini di casa sostengono che quel nastro di cemento largo 60 metri su cui passeranno auto, treni e pedoni proietterà la sua ombra sulle loro villette per un paio d'ore al giorno.


 

Qualcuno sta già pensando a dove trasferirsi appena inizieranno i lavori. Luigi invece non ha neanche immaginato cosa farà. Perché lui al ponte è favorevole, ma è convinto che “qua siamo a Messina, e allora altro che prima pietra, la pietra al massimo ce la attaccano al collo, e poi ci buttano a mare”.

Il signor Luigi è un floricoltore che una ventina di anni fa ha deciso di trasferirsi da Messina a Torre Faro insieme alla moglie e ai due figli. Vive in un complesso di villette con al centro una piscina. Quando parla del ponte dice sempre “sarebbe”, mai “sarà”, perché per lui questo ponte è tutto meno che una reale possibilità.

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D'altronde, dice, “qui non è mai venuto nessuno a spiegarmi né dove dovrebbero costruirlo né che fine farà la mia villetta. In zona nessuno sa niente, anzi, stanno costruendo tutti case come i pazzi. Se devono davvero iniziare i lavori alla fine dell'anno qualcuno doveva venire, no?”.

Nell'eventualità che dovessero costruirlo, a Luigi non dispiacerebbe. “Sarebbe una cosa buona – sostiene - perché unisce e perché porterebbe turismo e lavoro. E quando parlo di lavoro non intendo solo quello nei cantieri o per la manutenzione. C'è anche il lavoro che ci si può inventare, ma dipende tutto dai messinesi, se si alzano presto la mattina e vogliono lavorare”. Buona parte dei suoi concittadini, secondo il signor Luigi, sono l'incarnazione dello stereotipo del meridionale che non accetta i cambiamenti e non ha voglia di fare. “Per far venire bene le cose – dice - basta non farle fare ai messinesi; per il ponte verrà gente da fuori, è una cosa a livello europeo, ecco perché potrei crederci. D'altronde è l'unica speranza per cambiare un po' le cose”.

Ai modelli di sviluppo alternativo, basati ad esempio su un migliore sfruttamento turistico della riserva naturale dei laghi di Ganzirri o di realtà nate da poco come il parco letterario dedicato a “Horcynus orca” (il romanzo di Stefano d'Arrigo ambientato proprio tra Scilla e Cariddi), Luigi non ci crede e quando se ne parla si arrabbia. “Ma quale turismo?” chiede ironicamente mezzo in italiano mezzo in dialetto. Indica la strada, fuori dalla vetrata del bar di fronte casa sua e continua: “Lei lo vede il marciapiede?Lo vede? Certo che non lo vede, non c'è. Questi benedetti turisti dove dovrebbero camminare?”

La sfiducia del signor Luigi non colpisce solo i messinesi. “Io ho cinquant'anni, e di ponte ho sentito parlare solo in campagna elettorale. Tutti i politici di destra e di sinistra lo hanno sempre promesso e nessuno l'ha mai fatto. Finora io ho visto solo bauli di carte, camion di carte”.

Così si finisce a discutere della “Stretto di Messina”, la società pubblica che si occupa del ponte, e il signor Luigi si arrabbia ancora di più. “Se il ponte si deve fare si faccia, ma se si decide il contrario allora chiudiamo questa società e mandiamo tutti a casa. Ma lei lo sa quanti soldi hanno speso finora? Ecco, io lo vorrei sapere. Se poi in quanto uomo della strada non posso saperlo…”.

Nonostante i messinesi, i politici e la Stretto di Messina, però, Luigi continua ad essere disposto a sacrificare la sua tranquillità personale per il sogno del ponte. “In fondo anche dove hanno costruito le autostrade o le ferrovie la gente è stata espropriata. L'importante è che mi paghino il disturbo. Vuol dire che cambierò le mie abitudini e mi trasferirò. Dove ancora non lo so. Ce n'è tanto mare….”.