Non serve, costa troppo ed è pericoloso: nel corso degli anni il movimento di quanti si oppongono alla costruzione del ponte di Messina ha creato intere biblioteche di documenti e prese di posizione che si possono sintetizzare così:

Il ponte non serve, perché il modello di trasporti basato sul gommato non è più conveniente né per le merci né per i passeggeri. Inoltre non serve né per le lunghe tratte nè per i collegamenti tra Reggio Calabria e Messina ( per saperne di più clicca qui)

Il ponte non porterà un grosso aumento di posti di lavoro nell'area dello stretto anzi, una volta terminati i lavori il numero di addetti sarà inferiore a quello che oggi lavora nelle compagnie di traghetti ( per saperne di più clicca qui)

Il ponte costerà molto più di quanto sostenuto dalla Stretto di Messina, perché la struttura una volta a regime potrebbe andare in perdita (come è successo con il tunnel sotto la Manica) e si rischia che lo stato debba risarcire i privati che avevano finanziato l'opera tramite il project financing ( per saperne di più clicca qui)

Il ponte sarà costruito in una zona ad altissimo rischio sismico e anche se è progettato per resistere a terremoti di intensità fino a 7,1 scala richter, chi garantisce che non ne arrivi uno di intensità maggiore? ( per saperne di più clicca qui)

Il ponte occuperà una zona di alto pregio paesaggistico e con tutta probabilità sconvolgerà completamente l'ecosistema dello stretto ( per saperne di più clicca qui)

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I DATI
I LUOGHI
Gulliver a Lilliput
LE RAGIONI
Quelli che... il no
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A tutte queste obiezioni, vanno aggiunti poi tre timori:

uno è quello delle infiltrazioni mafiose, in un certo modo favorite dal meccanismo della Legge obiettivo che, per snellire le procedure, consente al general contractor di affidare opere in subappalto senza tutti i controlli necessari per qualsiasi altro appalto pubblico.

La seconda preoccupazione è che le garanzie della legge obiettivo non siano sufficienti per scongiurare il pericolo che quest'opera diventi l'ennesima incompiuta del sud Italia. In una ipotesi del genere, tra l'altro, ci si ritroverebbe con un territorio sfregiato da cantieri faraonici e senza neanche i vantaggi previsti dalla costruzione dell'opera.

L'ultima preoccupazione è l'effetto “Cattedrale nel deserto”. Anche una volta terminato il ponte, ci si chiede, a cosa servirebbe se le infrastrutture che sono al di là e al di qua del ponte (come ad esempio le autostrade siciliane, la Salerno - Reggio Calabria e le tutto il sistema ferroviario a sud di Napoli) sono in pessime condizioni?

Per quanto riguarda i possibili danni e disagi per i cittadini di Messina e in particolare della zone di Torre Faro e Ganzirri, le frazioni dove sorgerà il ponte,
vai a “Gulliver a Lilliput

Forse questi sei miliardi di euro potrebbero essere spesi meglio in una terra come la Sicilia , il cui tasso di disoccupazione è cresciuto dal 19,3% nel 1993 al 24,5 nel 1999, con una leggera flessione al 24% nel 2000, in una città come Messina che nel 2000 registrava un tasso di disoccupazione giovanile del 68%.

 

Il ponte serve?

Come sostenuto da Marco Ponti, docente di economia dei trasporti al Politecnico di Milano, e Andrea Boitani, docente di economia politica all'Università Cattolica di Milano sul sito di analisi economiche “La voce”, “Il traffico previsto per il ponte (…) anche nelle ipotesi più favorevoli, è modesto: il traffico "interurbano" di breve distanza (tra Messina e Reggio) sarebbe più rapido con un sistema di traghetti veloci; il traffico merci di lunga distanza ha nelle "autostrade del mare" un concorrente molto più economico, e il traffico passeggeri di lunga distanza viaggia già in gran parte in aereo. Al crescere del reddito (e al decrescere delle tariffe aeree, grazie all'auspicabile sviluppo della concorrenza) il traffico di superficie si ridurrà nonostante il ponte”. (per leggere tutto l'articolo di Marco Ponti e Andrea Boitani clicca qui)

In sostanza, per far viaggiare le merci su distanze superiori a 500 – 700 km (Ragusa e Milano, ad esempio, distano 1.400 km ) il trasporto su gomma perde la sua convenienza a favore di altre possibilità come quelle offerte dall'alternativa multimodale. Con le autostrade del mare, come la linea già esistente Messina – Salerno, ad esempio, c'è la possibilità di imbarcare i camion sulle navi facendo riposare l'autista, senza rischio di incidenti e senza inquinamento. Per alcune realtà economiche siciliane, ad esempio il settore delle primizie che vengono prodotte nel ragusano, il ponte non avrebbe alcuna utilità, perché i prodotti ortofrutticoli di pregio devono arrivare sui mercati (come quello di Milano) in tempi rapidi. Per questo a Ragusa si sta trasformando l'ex aeroporto militare di Comiso in uno scalo merci. Discorso simile può valere per il traffico passeggeri: un milanese o un tedesco che decidono di passare le vacanze in Sicilia o devono venirci per lavoro, difficilmente sceglieranno di viaggiare in macchina o in treno se hanno la possibilità – anche grazie all'abbassamento delle tariffe che si è verificato negli ultimi anni – di prendere un aereo.

Si risparmierà tempo?

Il geologo Mario Tozzi, in un articolo intitolato “I geologi e il ponte sullo stretto di Messina”, pubblicato sulla rivista Geoitalia nel 2001, scrive: “Se non ci sono date particolari, week-end e italiche ferie --attualmente-- ci vogliono 25 minuti per attraversare materialmente lo stretto di Messina in traghetto, poi bisogna considerare le attese per il biglietto e per la coincidenza, in tutto circa 35'-40'. L'attraversamento aereo via ponte ridurrebbe i tempi da 25' a circa 5' (se non vogliamo correre), ma non ci sarebbe comunque verso di eliminare code e file --nei giorni clou-- perché il pedaggio da qualche parte lo si dovrebbe pagare e in fila ci si dovrebbe mettere lo stesso, esattamente per gli stessi tempi. Vale la pena di costruire un'opera da 20.000 miliardi complessivi per risparmiare 20 minuti ?
(per leggere tutto l'articolo di Mario Tozzi clicca qui)
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Porterà lavoro?

Le stime della Stretto di Messina parlano di circa 40.000 posti di lavoro tra occupazione diretta e indiretta durante i 6 anni previsti per la costruzione del ponte. Secondo il rapporto “Collegamenti Sicilia - Continente” realizzato nel 2001 per conto del Governo italiano da un gruppo di advisors composto da PriceWaterhouseCoopers, Certet (Centro di Economia Regionale, dei Trasporti e del Turismo) dell'Università Bocconi, Sintra e Net engineering, “Sia nella fase di cantiere che in quella di esercizio a regime del Ponte, l'impatto sulle economie locali (province di Messina e Reggio Calabria) e sulle economie regionali (regione Calabria e Regione Sicilia) sortisce effetti positivi, anche se non sempre rilevanti”. L'analisi degli advisor continua sostenendo che “È da notare come non tutte le unità di lavoro attivate nelle due regioni Calabria e Sicilia determinano assorbimento di forza lavoro locale: anzi, è probabile che tecnici provenienti dal resto del Paese e dall'estero siano impiegati nei cantieri di Calabria e Sicilia con mansioni specifiche. Inoltre, se si tiene anche conto della durata del cantiere, prevista in nove anni, i posti di lavoro e i conseguenti occupati addizionali medi annui risultano essere 14.578 così distribuiti:

- Calabria: 1.693 occupati all'anno in media per nove anni,

- Sicilia: 2.768 occupati all'anno in media per nove anni,

- Resto del Mezzogiorno: 3.334 occupati all'anno in media per nove anni,

- Centro Nord: 5.840 occupati all'anno in media per nove anni,

- Estero: 943 occupati all'anno in media per nove anni” (Collegamenti Sicilia – Continente, pp. 79 e 80)

Insomma, l'impatto positivo ci sarà, ma sul territorio non sarà così positivo come sostenuto dalla Stretto di Messina, perché i posti di lavoro previsti non saranno generati solo per la manodopera locale. Paradossalmente, secondo i calcoli degli advisors, la costruzione del ponte porterà più occupati al centro nord (5.840 posti) che in Sicilia (2.768 posti). Lo scenario cambia ancora se si considera la situazione occupazionale a cantieri chiusi, cioè quando l'opera sarà in esercizio.

Se la Stretto di Messina sostiene che il ponte una volta terminato sarà “moltiplicatore di sviluppo destinato a creare straordinarie ricadute, anche superiori a qualsiasi aspettativa positiva, sul sistema industriale ed economico del Mezzogiorno” (vedi la pagina web), gli advisors nel loro rapporto scrivono che “Il quadro riepilogativo degli effetti occupazionali (solo attività dirette) nell'ambito ristretto nel caso di scenario con ponte, mette in luce come esista una perdita di posti di lavoro, 1234 addetti fra lavoratori del traghettamento automobilistico e ferroviario, che non viene recuperata nel settore di attività legato alla gestione e manutenzione del ponte, se non parzialmente, in quanto è in grado di generare solo circa 480 posti di lavoro (attività dirette). La perdita netta è, quindi, di 764 posti di lavoro. Per l'ambito regionale intermedio, e a maggior ragione rispetto all'ambito ristretto, il Ponte ¾ così come le alternative ¾ non è in grado, da solo, di attivare lo sviluppo economico e l'integrazione delle aree considerate. All'interno dello scenario di bassa crescita si perviene così a una valutazione di staticità ¾ nessun effetto differenziale rispetto alla situazione senza Ponte, tranne un moderato effetto di attrazione turistica direttamente connesso al “manufatto” Ponte e un positivo impatto macro-istituzionale” (doc. cit. p. 84).

I consulenti sostengono cioè che il ponte da solo non porta lavoro né crescita economica, se non un modesto effetto di attrazione turistica. Non solo, gli advisor ipotizzano la realizzazione di uno scenario di trasporto multimodale (…) simile per finalità a quello creato dal ponte e sostengono che “benché di impatto più limitato rispetto al Ponte, a causa della scala degli investimenti, l'alternativa multimodale si presenta superiore quanto ad efficacia complessiva dell'investimento (1,5 miliardi di Pil per miliardo di investimento contro 1,2 del ponte; 19 unità di lavoro anno per miliardo di investimento contro 11 del ponte) e quanto a distribuzione territoriale dell'impatto a tutto vantaggio del Mezzogiorno (83% del Pil contro il 74% del ponte; 87% dell'occupazione contro il 57%)”. (doc. cit. p. 96).

Sul piano strettamente occupazionale, i consulenti scrivono che ci sarebbe un “positivo impatto (...). Il potenziamento dei servizi di attraversamento genera, infatti, un incremento occupazionale nelle attività direttamente legate al sistema di trasporto nell'ambito ristretto delle due provincie di Reggio Calabria e Messina, di circa 1.100 addetti rispetto allo scenario ponte, e di circa 320 rispetto alla situazione attuale”.
(per leggere la relazione degli advisor clicca qui)

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Quanto ci costerà?

La Stretto di Messina ha stimato che solo il 40% dei 6 miliardi di euro necessari saranno investimenti pubblici, mentre il resto verrà reperito sul mercato tramite il meccanismo del project financing, quella forma di finanziamento tramite cui le amministrazioni pubbliche possono reperire capitali privati per opere di pubblica utilità. Secondo questa formula, gli investitori privati vengono ricompensati del loro investimento tramite la concessione per sfruttare l'opera stessa, una volta terminata. Nel caso del ponte, dunque, a ripagare i privati dei loro 3,5 miliardi di euro dovrebbero essere i pedaggi pagati per attraversare lo stretto. Ponti e Boitani, però, sostengono che “L'autofinanziamento - date le previsioni di traffico - non appare verosimile, e altre esperienze di infrastrutture di trasporto (tunnel sotto la Manica , Ponte sull'Oresund) danno indicazioni negative. Ma purtroppo gli schemi di " project financing " si prestano benissimo a meccanismi di finanziamento pubblico occulto e rimandato nel tempo (come è emerso chiaramente nel caso dell'Alta Velocità ferroviaria). Sono poi emerse delle "condizioni" per la finanziabilità dell'opera - come la chiusura dei servizi di traghetto - lesive della libertà di impresa, o - come l'assunzione del rischio commerciale da parte dello Stato - lesive della decenza”.
(per leggere tutto l'articolo di Marco Ponti e Andrea Boitani clicca qui)

Il rischio, secondo molti, è che il reperimento di capitali sul mercato possa avvenire solo nel caso in cui lo stato si faccia garante del successo dell'opera, ma se i flussi di traffico non dovessero essere quelli previsti (come è successo ad esempio per il tunnel sotto la Manica ) toccherà alle stesse casse dello stato italiano fronteggiare la situazione.

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Il rischio sismico

Tra meno di due anni sarà passato un secolo dal disastroso terremoto che, nel dicembre del 1908, provocò 80.000 morti tra Messina e Reggio Calabria. Come sostiene il geologo Mario Tozzi, “La Sicilia nord-orientale e la Calabria meridionale sono davvero le regioni a più alto rischio sismico dell'intero Mediterraneo. A partire dal IX secolo, quest'area è stata colpita da almeno 13 terremoti d'intensità superiore al VII grado della scala Mercalli”.
Dati oggettivi difficilmente contestabili. Partendo da questo presupposto, Tozzi si pone alcune domande:

1) “Reggerà un ponte che è stato commisurato a magnitudo 7,1 Richter, tenendo presente quel terremoto del 1908, visto che --non essendoci al tempo rilevamenti strumentali adatti-- si tratta di una stima indiretta e che, quindi, la scossa prossima ventura potrebbe essere 7,2 o 7,5 ? Il terremoto umbro-marchigiano del 1997 ci dice che forse non conosciamo abbastanza di sismi: e se non siamo stati in grado di prevedere una "coppia sismica" dove prima non c'era mai stata, che ne sappiamo che il prossimo terremoto tra Reggio e Messina sarà 7,1 e non più dannoso ?”

2) “non sarebbe meglio spendere prima quelli e altri denari (pubblici e privati, occupazione e profitti, di questo si tratta, sarebbero comparabili) nella ristrutturazione di città che hanno solo il 5% antisismico ? Quali sono le priorità dettate dal buonsenso ?”.

Va inoltre considerato che la previsione di resistenza ai terremoti è stata fatta sull'opera finita, ma cosa succederebbe se ci fosse un terremoto mentre si stanno costruendo le torri o l'impalcato? .
(per leggere tutto l'articolo di Mario Tozzi clicca qui)

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I rischi ambientali

Prendendo a prestito le considerazioni di Tozzi, si può fare un punto su quali sarebbero i principali rischi per il delicato equilibrio della zona dello stretto. Un'area, quella su cui ricadranno i cantieri del ponte, in cui ci sono undici siti di interesse comunitario , due zone di protezione speciale e una riserva naturale Regionale (Capo Peloro-Ganzirri).

Analizzando la sola costruzione delle due torri portanti, il geologo scrive: “lo sconvolgimento idrogeologico sarebbe catastrofico. Si tratta prima di tutto di impiantare, a oltre 50 metri di profondità, due piloni alti quasi 400 metri per un totale di circa 500.000 metri cubi di cemento. Per fabbricare tutto quel cemento poi, ci vuole il calcare che deve venire dal più vicino possibile, che significa aprire decine di nuove cave nell'area dello stretto con sfregio ambientale irreversibile di colline e versanti, fino allo stravolgimento vero e proprio della carta topografica del rilievo esistente. Nello scavare le due fosse si tirerebbero fuori 8 milioni di metri cubi di terra, sabbia, ghiaia e detriti rocciosi: che ci si fa ? Dove vengono portati ? In quanto tempo e con che mezzi ? Cosa invece comporterebbe lo scavo è subito detto: l'alterazione completa di ogni equlibrio idrogeologico delle aree di appoggio, ivi compreso il prosciugamento del lago Ganzirri (nel messinese)”.
(per leggere tutto l'articolo di Mario Tozzi clicca qui)

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